Metal Gear Online – la recensione

Dopo l’enorme e controverso successo del single player, Metal Gear Solid V The Phantom Pain torna a far parlare di sé con Metal Gear Online, terza edizione del comparto multiplayer della saga nato ai tempi della limited edition di Metal Gear Solid III, Subsistance. 
Il tre sembra essere il numero perfetto per la saga di Kojima e Konami lo ha confermato volendo puntare tantissimo su questa edizione dell’online, partendo dal gameplay perfetto del single player e adattandolo con modalità e dinamiche tipiche del multiplayer così da portarne tutta la libertà d’azione all’interno di una cornice basata sull’interazione tra giocatori reali.
A confermare la dominanza del tre, Kojima Productions e il suo studio di Los Angeles hanno fondato MGO su tre modalità e tre classi: le tre modalità sono chiamate Bounty Hunter, Cloak and Dagger e Comm Control; le tre classi sono Esploratore, Spia e Assaltatore.
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Se da quanto provato dovessimo trarre un motivo insindacabile per giocare a MGO sarebbe un’impresa ardua.



Bounty Hunter non è altro che un classico deathmatch a squadre, dove due squadre composte da fino a 8 giocatori devono eliminare ciascuna i componenti dell’altra per ridurre i ticket di squadra a zero. Ciò che distingue Bounty Hunter dai classici deathmatch è la possibilità di stordire e recuperare tramite fulton i propri avversari per riguadagnare ticket anziché diminuire quelli avversari, utile quando la partita si trova in equilibrio.

MGO III garantisce diverse ore di intrattenimento soprattutto a chi ha amato MGSV.

Tolto questo però, questa modalità dimostra sin da subito che, come in ogni altro deathmatch a squadre, la squadra che può contare sui singoli più esperti o comunque dotati di miglior mira ed esperienza online riesce facilmente ad avere la meglio anche su una migliore organizzazione avversaria. 
Le mappe, nelle versioni intere o ridotte, si sviluppano sempre secondo gli stessi percorsi e dunque dopo le prime partite si finisce per seguire con costanza le stesse contromisure o strategie di attacco che si sono rivelate più adatte per avere la meglio: il risultato finale dunque dipende troppo dalla capacità del singolo, senza contare che spesso, purtroppo, le capacità e gli armamenti migliori di chi è ai livelli più alti si rivelano determinanti.
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La situazione sembra cambiare in Cloak and Dagger, dove l’aspetto dell’infiltrazione è essenziale: una squadra di aggressori, dotata soltanto di armi non letali ma anche di una versione a durata illimitata della mimetica ottica, deve riuscire a sottrarre due dischi dati ad una squadra di difensori armata fino ai denti. Nonostante questo sia l’obiettivo principale, anche questa modalità si trasforma facilmente in un deathmatch a squadre dove però la morte è permanente e una volta eliminati non resta che osservare la partita dagli occhi dei propri compagni ancora in gioco.
Il problema principale è che il gioco stesso continua ad assegnare il punteggio sulla base di uccisioni e stordimenti e valuta quasi niente il recupero dei dischi. A questo si aggiunge che mentre la squadra di aggressori è dotata solo di armi non letali, i difensori possono ancora contare sulle abilità di classe e usare, ad esempio, loro stessi la mimetica ottica. Ancora una volta l’ago della bilancia viene spostato principalmente dalle abilità dei singoli, ma il concetto di infiltrazione di questa modalità si perde nel momento in cui chi difende è meglio equipaggiato di chi attacca, soprattutto quando quest’ultimo in realtà vuole eliminare gli avversari piuttosto che venire massacrato al punto di recupero del disco.
Insomma Cloak and Dagger, che sembrava essere la modalità con il potenziale più alto dell’intero gioco, si rivela forse il flop più grande e quella con più lacune da colmare.
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Il problema principale è che il gioco stesso continua ad assegnare il punteggio sulla base di uccisioni e stordimenti e valuta quasi niente il recupero dei dischi

Le ultime speranze risiedono tutte in Comm Control, dove due squadre si contendono il controllo di tre antenne di comunicazione da difendere o conquistare. Trattandosi di tre punti di interesse che non possono essere lasciati abbandonati a lungo, tutti i giocatori si ritrovano concentrati nelle stesse aree e ogni round si trasforma in una carneficina. Diventa obbligatorio quindi muoversi in gruppo, coprirsi le spalle a vicenda e difendere i propri compagni sotto attacco, abbozzando quella che alla fine è una tattica di squadra, anche se non coordinata.
Alla fine dei giochi tutte le partite si rivelano un continuo cambio di possesso delle antenne e solo poche volte ci siamo ritrovati a difendere con successo un’antenna per l’intero round, ma difatti Comm Control accontenta tutti, sia chi viene da Bounty Hunter e cerca un po’ di strategia in più, sia chi ha lasciato Cloak and Dagger perché non vi ha trovato un senso.
In tutti i casi, neanche Comm Control riesce a regalare un’esperienza da “Metal Gear” ma al massimo si dimostra quella realizzata meglio all’interno di un multiplayer che di diverso rispetto a quanto già visto in giro ha solo la visuale in terza persona.
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Alla fine dei giochi tutte le partite si rivelano un continuo cambio di possesso delle antenne e solo poche volte ci siamo ritrovati a difendere con successo un’antenna per l’intero round.

A garantire una maggiore varietà di gioco ci sono però le tre classi, ciascuna con caratteristiche e capacità diverse, assegnabili ad altrettanti slot personaggio che ciascun utente può sbloccare avanzando nel gioco.

L’esploratore è la classe più equilibrata e adatta a chi non ha già dimestichezza con le dinamiche di MGO: può contare su una buona resistenza e ha accesso ad un discreto arsenale di equipaggiamenti avanzando di livello; si distingue per capacità e oggetti secondarie in grado di fornire supporto alla propria squadra, utili a marcare o distrarre i nemici e a fornire soppressione/copertura durante le incursioni dei propri compagni.
La spia sacrifica salute e resistenza per guadagnare notevoli doti di infiltrazione, come capacità che migliorano il CQC o le armi non letali, ma soprattutto riceve in dotazione l’utilissima mimetica ottica che offre un vantaggio considerevole in ogni modalità, soprattutto Cloak and Dagger.
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Infine l’assaltatore rinuncia a mobilità per poter contare su una forza militare superiore in termini di salute e armi: sin da subito infatti ha in dotazione mitragliatrici pesanti e capacità in grado di migliorarne letalità e munizioni, senza contare l’accesso allo scudo e agli esplosivi migliori.

Cloak and Dagger, che sembrava essere la modalità con il potenziale più alto dell’intero gioco, si rivela forse il flop più grande e quella con più lacune da colmare.

Se ai primi livelli le differenze tra queste classi non risaltano, avanzando e guadagnando nuovi oggetti, armi e capacità i vantaggi di ciascuna classe si fanno sempre più netti, ma questo purtroppo non arriva mai a determinarne lo stile di gioco. In poche parole, un’esploratore di alto livello può comunque seminare distruzione tanto quanto un assaltatore, così come due spie dalla buona mira possono avere la meglio su altrettanti assaltatori meno bravi.
Se da un lato è giusto che l’abilità dei singoli sia importante, dall’altro è anche vero che dopo aver investito tanto sullo sviluppo di una determinata classe si pretenda un vantaggio nelle situazioni per le quali quella classe è indicata.
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Questo è solo uno dei punti in cui Metal Gear Online convince di meno, soprattutto perché se è vero che il gameplay viene ripreso e adattato perfettamente, lo stesso non si può dire della profondità e libertà d’azione, considerato che anche provando a metter su una tattica o un’azione più elaborata si finisce spesso con un proiettile in testa prima di metterla in pratica. MGO perde dunque anche questo vantaggio e alla fine dei conti è costretto pure ad arrendersi a lag e ritardi talvolta davvero fastidiosi oltre che determinanti.

Neanche Comm Control riesce a regalare un’esperienza da “Metal Gear” ma al massimo si dimostra quella realizzata meglio all’interno di un multiplayer che di diverso rispetto a quanto già visto in giro ha solo la visuale in terza persona.

Se da quanto provato dovessimo trarre un motivo insindacabile per giocare a MGO sarebbe un’impresa ardua: preso come normale multiplayer online può anche funzionare, pur senza niente di speciale o imperdibile; preso come il multiplayer online di Metal Gear perde il confronto persino con MGO 2 e non porta con sé nulla di caratteristico della saga se non la mimetica ottica (usata troppo e male) e i peluche trappola (più sfiziosi che efficaci).
MGO III garantisce diverse ore di intrattenimento soprattutto a chi ha amato MGSV: TPP, ma se l’ultima avventura targata Kojima vi ha lasciato con qualche perplessità la sua componente multiplayer non riscatterà nulla e forse aggiungerà altri dubbi sulla valutazione finale del gioco. 
È stato bello entusiasmarsi e vivere l’attesa, ma il capolavoro promesso si è rivelato un po’ sottotono, purtroppo, ancora una volta.