Luce e ombra
I nemici stessi sono continuamente capaci di cambiare le carte in tavola grazie alla propria peculiare natura. Nel corso della prova siamo incappati in un solo tipo di alieno, il piccolo Mimic, e basterebbe già lui ad allontanare Prey dallo sparatutto in senso stretto; parliamo di una caccia al gatto col topo in cui i ruoli si scambieranno a più riprese.
Oltre che schiaffeggiarci con i loro minuscoli tentacoli, questi fastidiosi esserini possono camuffarsi in un oggetto qualsiasi, pezzi d’arredamento compresi, e attendere il momento opportuno per attaccarci di sorpresa.
Divertentissimo il fatto che – in questo caso – Prey premi il giocatore più attento, quello capace di scavare nella propria memoria fotografica e di notare eventuali cambiamenti nel mobilio circostante. Se c’è una lampada o una sedia fuori posto, potrebbe benissimo trattarsi di un Mimic, e stavolta potremmo essere noi ad attaccarlo di sorpresa. Senza considerare il fatto che, in futuro, potremo persino acquisire noi stessi questa abilità.
Difficile considerare Prey un horror puro solo per questo, ma indubbiamente condivide alcune tinte con questo genere, complice anche un comparto grafico all’altezza e un utilizzo di luci e ombre davvero ispirato. Storytelling e gameplay si abbracciano e viaggiano sotto un’unica bandiera. La linea divisoria, in alcuni casi, si fa davvero sottile.
Storytelling e gameplay si abbracciano e viaggiano sotto un’unica bandiera. la linea divisoria, in alcuni casi, si fa davvero sottile.