Si dice, ed è vero, che il tempo passi in fretta quando ci si diverte, e infatti sembra impossibile che siano passati ben diciannove anni tra il primo Ratchet & Clank e questo Ratchet & Clank: Rift Apart. Due decadi durante le quali il duo creato da Insomniac Games, ben presto diventato una vera e propria mascotte di PlayStation, ci ha sempre almeno divertito anche negli inevitabili capitoli meno ispirati.
Oggi, dopo sette episodi principali, un dlc stand alone, quattro spin-off e un reboot (l’ultimo, uscito nel 2016) il Lombax e il suo fidato amico robot sono pronti a sbarcare anche su PlayStation 5, con la promessa di sfruttare come mai nessuno ha fatto finora l’hardware messo a punto dagli ingegneri Sony.
Da critici però non possiamo chiederci solo se in Ratchet & Clank: Rift Apart si veda e si senta la next-gen: quella che abbiamo tra le mani non una demo tecnica, ma un videogioco fatto e finito che va valutato in ogni suo aspetto, cercando di capire se quest’ultimo episodio della serie faccia parte di quelli più riusciti o si assesti nella loro media, comunque buona.
La risposta finale non è affatto scontata, perché Rift Apart ci ha convinti sì, ma senza esaudire tutti i sogni che ci eravamo fatti alla vigilia, dopo quei meravigliosi video degli State of Play. Ma andiamo con ordine.
Ratchet & Clank: Rift Apart non segue le vicende del reboot del 2016, ma si dipana a partire dal finale del cortissimo Nexus, uscito a fine 2013 su PS3.
Viene dunque meno la necessità di ripresentare pian piano al pubblico i due protagonisti, che vengono dati per già assimilati nelle loro relazioni e nei loro caratteri. Inutile negarlo, dopo così tanti anni e così tanti giochi insieme i due non hanno più molto di interessante da dirsi, il loro rapporto è stato ampiamente sviscerato, e questo vale anche per il supercattivo Dr. Nefarius. Pertanto troviamo azzeccato che la narrazione di Rift Apart si concentri principalmente sulle controparti dei protagonisti provenienti da altre dimensioni.
La trama infatti ci vedrà impegnati a ristabilire l’ordine tra le varie versioni della realtà, scombinate dall’utilizzo doloso e maldestro (ovviamente da parte del Dr. Nefarius) del potentissimo strumento chiamato Dimensionatore, da sempre al centro degli avvenimenti della serie.
Ratchet e Clank non saranno soli nell’impresa: aprire una finestra su altri mondi ha infatti permesso al nostro Lombax di incontrare la sua controparte femminile, Rivet, altrettanto coraggiosa e determinata a risolvere la situazione. Doppi eroi però significano anche doppia minaccia, e scopriremo che la versione di Nefarius che conoscevamo fino a oggi non era affatto la più pericolosa del multiverso.
Non è il caso di addentrarsi troppo oltre nella descrizione della trama del titolo, che rimane purtroppo un po’ blanda a livello di narrazione. Tutti i rapporti, compreso quello tra Ratchet e Rivet, sono gestiti in maniera abbastanza sbrigativa, non riuscendo mai a decollare davvero e rimanendo poco significativi nell’economia del racconto. Il background dei nuovi arrivati è ben presente, ma mai davvero sorprendente o capace di renderli interessanti come personaggi.
Lo sappiamo: la causticità e la vena quasi satirica dei primissimi episodi della serie appartiene solo al passato, in favore di toni che già da diversi anni sono molto più family-friendly e (passateci il paragone) “disneyani”; con il picco, in questo senso, raggiunto dal reboot del 2016, che era a tutti gli effetti la locomotiva del fallimentare cartoon al cinema.
Così come sappiamo che è assurdo aspettarsi The Last of Us da Ratchet & Clank, ma visto anche l’eccellente lavoro svolto da Insomniac su Marvel’s Spiderman siamo sicuri che si potesse fare decisamente di più per rendere incisivi i nuovi personaggi o rinfrescare un po’ le vecchie conoscenze. Un vero peccato, perché a livello squisitamente visivo l’animazione è fenomenale, specie nelle transizioni tra cutscene e parti giocate, praticamente indistinguibile da un cartoon Pixar…almeno fino a che la scrittura non lo tradisce.
Graficamente Ratchet & Clank: Rift Apart ripaga le aspettative. Non solo i personaggi sono realizzati e animati magnificamente, ma pure gli scenari sanno esaltare per dettaglio e profondità di campo, anche se non allo stesso modo in ogni livello. In alcuni, specialmente quelli più cittadini e affollati, il colpo d’occhio è semplicemente eccezionale. Il nostro preferito è probabilmente proprio Corson V, quello che Sony ha deciso di mostrarci agli State of Play, una metropoli notturna dove luci al neon, riflessi in ray tracing e una quantità spropositata di elementi a schermo ci hanno fatto respirare l’aria della nuova generazione.
Alcuni dei nove mondi esplorabili invece, quelli più ampi e da percorrere usando gli stivali-jet o degli scarafaggi turbo, sono più spogli e spingono molto meno sotto questo punto di vista, rimanendo comunque apprezzabili. La parte del leone in ogni caso la fa l’effettistica, con una quantità di particellari e oggetti in movimento che quasi stordisce. Non è un’esagerazione: a volte si ha la sensazione che Insomniac abbia voluto calcare fin troppo la mano nel tentativo di stupirci, specialmente con gli elementi in movimento sullo sfondo, rendendo un po’ caotica l’immagine e la direzione artistica.
Al momento della recensione il gioco poteva girare solo in una delle tre modalità previste per il lancio, quella fedeltà (4K, 30fps, ray tracing attivo), e quindi lo abbiamo giocato così, senza riscontrare problemi di sorta a livello prestazionale. Voi invece, proprio come in Marvel’s Spiderman: Miles Morales, potrete scegliere anche tra altre due opzioni, una concentrata sulla massima fluidità e una di compromesso tra prestazioni e utilizzo del ray tracing. Troverete comunque tutte le risposte che cercate nel consueto video di comparazione a opera di Roberto Buffa, qui su GameTime.
Che Insomniac sia tra i team più preparati dell’industria a livello tecnico non lo scopriamo certo adesso, e se c’è un altro campo in cui eccellono è quello della creazione di gadget e oggettistica per andare ad arricchire il gameplay dei loro titoli. Lo abbiamo visto in Spiderman e in Sunset Overdrive, ma è Ratchet & Clank la vera serie-manifesto del loro lavoro, avendoci dato modo negli anni di sparare ai nemici con armi totalmente irragionevoli (qualcuno si ricorda il Discotron, che trasformava i nemici in copie di Tony Manero o il Ryno V, che accompagnava il fuoco con le note di Pyotr Ilyich Tchaikovsky?).
Rift Apart non fa eccezione, permettendoci di mettere le mani su oltre quindici strumenti di offesa diversi. Dai grandi classici rivisitati, come lanciarazzi o bombe a mano, a robe totalmente assurde come un irrigatore da giardino capace di trasformare momentaneamente in cespugli i malcapitati. Ogni arma può essere acquistata e potenziata negli shop di Miss Zurkon, usando i Bolt e il Raritanio (classiche valute del gioco) sparsi nei mondi. Al raggiungimento del massimo livello (cioè il quinto almeno per quanto riguarda la prima run), le armi muteranno, andando a guadagnare effetti aggiuntivi molto interessanti. Torna quindi anche la Modalità Sfida, di fatto un new game plus basato sul moltiplicatore di punteggio che ci consentirà di potenziare le armi fino al livello dieci.
Ma in generale in Rift Apart tornano tutti quegli elementi che caratterizzano la serie, dai Bolt dorati nascosti nei livelli (con cui sbloccare gallerie, bozzetti o cheat da usare in game), alle tipiche scivolate sui binari coi Grindscarponi, dalle camminate sottosopra o a bassa gravità con gli stivali magnetici alle arene (con tanto di pubblico festante) dove sconfiggere nemici in sfide di difficoltà crescente.
Proprio parlando di sfida ci spiace notare che Rift Apart rimanga estremamente abbordabile anche a livello di difficoltà massimo. Pensate che pure i piccoli enigmi ambientali presenti in alcuni frangenti, dove comanderemo Clank, possono essere saltati dal menu di pausa. È bello che chiunque possa giocare e finire un videogioco (a meno che questo non cozzi col suo scopo e il suo design, ma non è questo il momento di discuterne), e pertanto promuoviamo pure la vastissima selezione di aiuti e filtri per garantire l’accessibilità anche ai videogiocatori con difficoltà motorie e visive. Però ci sarebbe piaciuto che almeno l’ultima difficoltà disponibile garantisse una sfida capace di spingerci a cambiare e sfruttare le armi con raziocinio, in base alla loro adeguatezza alla situazione, e non solo per divertirsi a farle salire di livello, ben consapevoli che molto probabilmente ce la caveremo comunque.
Ratchet & Clank: Rift Apart si muove quindi nel solco della tradizione, riconfermando l’estrema piacevolezza delle sue dinamiche di gioco pad alla mano. A questo giro poi il Dual Sense regala una marcia in più, restituendo un sacco di sollecitazioni aptiche gradevolissime da esperire. A volte, durante l’avventura, capiterà di dover rimuovere (fisicamente, proprio sparando loro contro) dei virus da dei computer affrontando mini-livelli in cui impersoneremo Glitch, un adorabile antivirus dalle fattezze aracniformi, e sentire sul pad ogni singolo tocco delle sue zampette da ragno sul pavimento è una sensazione che solo chi ha stretto tra le mani il nuovo controller Sony, magari con Astro’s Playroom, può capire.
Anche i grilletti, tramite resistenze, vengono utilizzati per dare feedback tattili sullo stato dell’arma in uso al videogiocatore, permettendogli di capire quando è pronta a sparare nuovamente dopo un periodo di cooldown o quando sono finiti i colpi. Di alto livello anche l’audio 3D, come da tradizione dei first party Sony quando si utilizzano le loro cuffie ufficiali. Nota di merito stavolta anche per il doppiaggio italiano, perfetto.
L’elemento davvero caratterizzante di Ratchet & Clank: Rift Apart sono quindi proprio i rift che lo titolano, quei portali verso altre dimensioni che ci avevano fatto immaginare soluzioni di gameplay impossibili fino a oggi. Purtroppo invece, e lo diciamo senza mezzi termini, sono stati un po’ una delusione.
Intendiamoci, visivamente sono spettacolari: passare in un attimo da una città futuristica a un galeone pirata è davvero bello, ma a livello di implementazione nel gameplay sono quasi inesistenti. Buona parte delle volte vengono utilizzati nelle cutscene o per creare ostacoli e vie di fuga durante sequenze semi-scriptate (come le corse sugli scarafaggi turbo o le scivolate sulle rotaie), mentre per quanto riguarda le fasi action vere e proprie servono solo come spostamento immediato all’interno delle arene.
Immediato neanche troppo, dato che agganciare i portali fa partire un’animazione di avvicinamento dove non avremo il controllo del personaggio e saremo sia invulnerabili ai colpi che incorporei nei confronti di eventuali ostacoli fisici sul tragitto. Anche per via del basso livello di difficoltà la valenza strategica dello spostamento è praticamente nulla (a meno di rari casi di nemici su piattaforme raggiungibili solo tramite il portale), e l’interruzione nel ritmo di gioco porta ben presto a evitare di utilizzarli definitivamente.
Forse avevamo aspettative troppo alte? Chissà, quel che è certo però è che il mai abbastanza celebrato Titanfall 2, uscito quattro anni e mezzo fa, con un normale hard disk meccanico ci permetteva di switchare tra due linee temporali diverse che si traducevano in due terreni di scontro distinti, all’interno dei quali approntare strategie di battaglia basate proprio su questo dualismo. Chiaro: stiamo parlando di concetti e tecnologie differenti, ma il paragone ci è utile a sottolineare quanto sia sempre fondamentale integrare bene le idee e le meccaniche all’interno di un gameplay. E i portali di Rift Apart, sotto questo punto di vista, li abbiamo trovati poco riusciti.
In un paio di livelli invece lo “swap dimensionale” viene attivato colpendo dei cristalli. A quel punto la mappa cambierà, aprendo eventualmente nuove vie precedentemente sbarrate. Niente che non si sia già visto in molti altri titoli, ma una piacevole variazione nel ritmo del gioco, che risulta sempre ben calibrato.
Nella lunga storia di Ratchet & Clank ci sono stati capitoli incentrati quasi totalmente sulle sparatorie, Rift Apart invece, pur essendo inclinato verso la componente shooting, regala anche qualche buon momento di platforming, tra cui la scena più spettacolare del gioco visivamente parlando. Ma non ve la diremo di certo qui.
Un altro aspetto che non ci ha convinti fino in fondo è la totale identità di gameplay tra Ratchet e Rivet. I due infatti condividono sia lo stesso armamentario (tutto sommato una comodità) che lo stesso set di mosse e animazioni, tra cui una nuova e utilissima schivata. I due Lombax sono di fatto due skin differenti dello stesso personaggio, e se è vero che la questione può essere narrativamente giustificata dal fatto che siano l’uno la controparte dell’altra, avremmo senza problemi barattato questa “coerenza”, in cambio di qualche differenza pad alla mano.
Tirando le somme ci rendiamo conto di essere stati parecchio critici, è vero, ma perché le aspettative che avevamo su Ratchet & Clank: Rift Apart erano molto alte.
Sognavamo un titolo capace di ridare freschezza a un brand che da qualche tempo si poggia sulla base sicura del “more of the same”, e ci è dispiaciuto quindi constatare che il suo elemento caratterizzante, cioè i rift, non funzionino a dovere. Visti poi i passi in avanti compiuti da Insomniac con la sua splendida versione di Peter Parker ci aspettavamo di più anche dal lato narrativo.
Questo però non deve distogliere l’attenzione dal fatto che Ratchet & Clank: Rift Apart sia un buonissimo videogioco, sicuramente da ascrivere a quelli validi della saga decennale a cui appartiene. Divertente da giocare per tutta la sua durata (lo abbiamo finito al 100% in circa venti ore) e spettacolare da vedere, grazie a una confezione curata e scintillante: sì, se ve lo state chiedendo siamo di fronte alla miglior grafica vista su PS5 fino a ora.
Un videogioco adatto sia ai più piccoli che ai più grandi, a meno che non si aspettino troppa profondità meccanica e narrativa; sia ai fan sfegatati della serie che ai neofiti, che non faranno fatica a capire gli avvenimenti messi in scena. Ratchet & Clank: Rift Apart non sarà di certo un capolavoro, ma è uno di quei titoli che giocheremmo con grande piacere anche se ne uscisse uno ogni due mesi. E non è poco.