Studio Ghibli On Demand: ChatGPT e l’imperativa riforma del Diritto d’Autore

Studio Ghibli ChatGPT

I meme rappresentano ormai da anni una parte fondamentale della cultura digitale e il loro impatto sul pubblico è oggi tale da aver spinto stimati critici di settore a valutarne persino l’eventuale legittimità artistica. Col sopravvento delle IA e degli innumerevoli tool di customizzazione che esse mettono a disposizione, molti di essi vengono tuttavia generati utilizzando stili visivi legati ad opere protette da copyright, il che solleva dubbi fondati sull’effettiva legalità del trend. Giusto in proposito, da qualche giorno, i nostri social sono stati inondati da immagini palesemente ispirate al celeberrimo tratto dello Studio Ghibli, sottraendo di fatto a Hayao Miyazaki e soci il controllo delle rispettive proprietà intellettuali, nonché l’opportunità di decidere se, quando e perché autorizzare abbinamenti tra il proprio stile grafico e determinati contenuti. Data la proverbiale rigidità che gli artisti in questione hanno sempre mostrato circa l’esclusività del proprio lavoro, l’annosa questione della tutela del diritto d’autore sul web è giustamente riemersa all’istante, ricordando peraltro a tutti che pur non esistendo ancora un’effettiva giurisprudenza ad hoc, le misure legislative preesistenti possono comunque avere una certa valenza.

Sebbene la maggior parte degli utenti che hanno realizzato e pubblicato dette immagini siano genuinamente convinti di non aver violato alcun principio legale, risulta in tal senso opportuno chiarire che quest’impiego delle IA potrebbe costituire comunque un illecito che, partendo dalla semplice violazione summenzionato diritto d’autore fa capo a concetti come il plagio e l’appropriazione indebita. Si dirà che, di fronte ai crimini che vengono commessi sul o tramite il web, queste siano men che bazzecole, ma un reato non può essere certo derubricato soltanto perché “in giro si compie di peggio”: da oltre un secolo, le industrie della cultura e dell’entertainment sono del resto tutelate da leggi che salvaguardano le opere originali non solo per mera gelosia, ma anche e soprattutto per proteggere il lavoro degli artisti. Che ci si creda o meno, quest’ultimo passaggio non appare tuttavia chiaro a tutti: girovagando per Facebook, X e Instagram abbiamo infatti provato a sollevare la questione con diversi utenti, i quali erano convinti che non occorresse il diretto consenso dell’autore per realizzare immagini ispirate al suo stile. Se alcuni hanno apertamente dichiarato la propria ignoranza in materia, altri ci hanno invece sfidato a dimostrare che quelle immagini fossero davvero ispirate ai lavori di Miyazaki. In questo caso, si è reso necessario ribadire un dettaglio chiave e cioè che pur non riproducendo esplicitamente un fotogramma o un disegno pubblicato in via ufficiale, la compilazione del prompt implica che l’IA di riferimento abbia generato l’immagine richiesta emulando l’uso distintivo di colori, linee, sfumature, design e atmosfere riconosciute come marchio distintivo dell’autore interessato. Inoltre, va specificato che ogni forma di appropriazione, essa parziale o totale, della rispettiva firma stilistica, potrebbe costituire un’infrazione alle leggi sul copyright anche nel caso in cui l’intera operazione si risolva in un semplice meme che non venga venduto o commercializzato.

A complicare una questione già di per sé delicata, subentrerebbero a questo punto ulteriori complicazioni di ordine concettuale: ci riferiamo a IA capaci di generare infinite varianti opere originali a un ritmo che impedisce spesso ai detentori dei diritti di intercettare tutte le possibili infrazioni. La tecnologia di cui disponiamo al momento, non è peraltro in grado di fare distinzioni tra ciò che è legale e ciò che non lo è, e ciò delimita i contorni di una zona grigia che gli utenti, i creatori e gli stessi organi legali di competenza non sanno ancora come affrontare. Come rivendicato da molti Content Creator che hanno scelto di basare la propria arte sull’esclusivo utilizzo della IA, detta risorsa rappresenterebbe in realtà uno strumento di democratizzazione della creatività. Grazie alle intelligenze artificiali, chiunque può infatti dar corpo a immagini che riflettano le rispettive emozioni, senza dover possedere un talento specifico o studiare anni per svilupparlo. Pur volendo sforzarsi di riconoscere a questa tesi un barlume di validità, è ad ogni modo imperativo assicurarsi che detta libertà venga bilanciata sempre e comunque con il rispetto per il lavoro altrui.

Va dunque da sé che il tutto ci riconduca al senso di responsabilità del singolo. Nessuno può d’altronde impedire alle IA di esistere, di evolversi o di essere utilizzate: in tal senso, tocca ad ognuno di noi assicurarsi che questa risorsa venga sfruttata con maggiore consapevolezza delle implicazioni etiche e legali che ne derivano… Almeno fino a quando, governi e ministri competenti si impegnino, una volta per tutte, a riformulare le leggi in materia di copyright in modo da renderle adatte a fronteggiare le sfide più moderne. Tutto giusto, tutto bello, ma in senso pratico da cosa dovrebbe partire questa urgente riforma? Tanto per cominciare dalle basi: occorrono regolamentazioni che tengano conto delle peculiarità della generazione automatica di contenuti, in particolare quando questi contenuti derivino da stili protetti. Allo stesso tempo, urge una revisione degli articoli che contempli sia la protezione della proprietà intellettuale che la possibilità di utilizzo creativo delle risorse digitali. Solo con un approccio equilibrato tra libertà artistica e tutela dei diritti d’autore sarà infatti possibile mettere ordine nel caos che è andato generandosi.

In questo processo, la collaborazione tra artisti, tecnologi, legislatori e piattaforme digitali sarà ovviamente fondamentale almeno quanto lo sfoggio del buon senso: una qualità, quest’ultima di cui ci siamo però riscoperti maledettamente a corto.