Uncharted Raccolta l’Eredità dei Ladri – Recensione PS5

Uncharted Raccolta L'Eredità dei Ladri PlayStation 5 Recensione 1

Il caro, vecchio Nathan avrà anche appeso fondina e antiche mappe al chiodo, eppure mai come in questo periodo si sta sentendo parlare di lui. Uncharted 4: Fine di un Ladro abbassò definitivamente il sipario sulla storia di Drake – e della sua famiglia – trasportando la saga non verso un conclusione, come qualcuno magari si sarebbe aspettato, ma in direzione di una nuova era. Sarà perché i rumor su un Uncharted 5 open world con Sullivan protagonista sono più forti che mai, o perché il primo film ufficiale è ormai prossimo all’uscita nelle sale: se pensavate che PlayStation 4 sarebbe stata la tomba della saga, allora difficile spiegare come mai ce lo ritroviamo anche qui, su PlayStation 5. In un periodo in cui le Remastered vanno più forti che mai, un po’ a sorpresa vediamo ritornare su next-gen un prodotto che, forse, neanche aveva così tanto bisogno di un lifting. Uncharted Raccolta l’Eredità dei Ladri contiene al suo interno Uncharted 4 e Uncharted l’Eredità Perduta, espansione stand-alone con Chloe protagonista.

Rivederli su console di nuova generazione (e PC, per la primissima volta) riavvolge le lancette di solo qualche anno, quando Naughty Dog stava finalmente per essere consacrata per le opere per adulti che ci avrebbe donato. Cambia il compositore, cambia lo scrittore, ed ecco che Uncharted 4 sarebbe stato qualcosa di profondamente differente rispetto alla trilogia che l’aveva preceduto. Mantiene la comicità, mantiene il testosterone, ma diventa più cupo, più introspettivo, e inizia a porre gli accenti seriamente sui problemi mentali che perseguitano il protagonista e la sua famiglia. Uncharted 4 è una fortissima base di quello che poi sarebbe stato pochi anni dopo il capolavoro definitivo conosciuto col nome di The Last of Us Part 2: un’opera che parla di ossessione e di compromesso, e di come spesso non sia possibile uscirsene senza un aiuto esterno.

Pochi anni fa, l’ultimo episodio della saga e la sua costola arrivarono sul mercato e si fregiarono fin da subito di essere il non-plus-ultra che l’adventure videoludico potesse offrire. Se Uncharted era nato come copia di Indiana Jones e appendice al maschile di Tomb Raider, ormai si era innalzato laddove le sue ispirazioni non sono mai riuscite ad andare. E se Il Teschio di Cristallo era la prova definitiva che, al quarto tentativo, Indy era ormai pronto ad andare in pensione, Fine di un Ladro è quasi l’opposto. La pensione c’è comunque, ma accompagnata da un sorriso a trentadue denti.

Uncharted 4 è un capolavoro oggi come lo era all’epoca: un blockbuster capace di unire muscoli, cuore e anima in una storia che intreccia a doppio filo le vicende personali dei suoi protagonisti con quelle del tesoro perduto secoli prima. Non solo la ricerca del più grande bottino pirata della storia è la scusa archeologica più interessante che la saga abbia mai avuto, ma come presto diventa una metafora della vita quotidiana di Nathan lo rende doppiamente meritevole di studio.

Perché Uncharted 4 parla di questo: di identità, di ossessione e di vocazione. Chi nasce in un modo, raramente potrà diventare altro, che tu sia un pirata di seicento anni fa o un tombarolo moderno. Ma se la passione può spesso sfociare nell’ossessione, costringere l’individuo a soffocare tale passione può portare a una distruzione di portata persino superiore. Uncharted 4 parla di famiglia, di volontà di crescere, ma anche di errori impossibili da superare da soli. Parla di cosa significhi accompagnare per tutta la vita qualcuno, e accettarlo anche nelle sue debolezze. E tra una sparatoria e un’arrampicata, diventa sorprendentemente una delle più grandi metafore della quotidianità moderna: triste, schiacciante e senza via d’uscita. Un parallelo su cosa significhi essere legati in matrimonio, ma anche su cosa si debba fare per mantenerlo vivo e saldo. E, sorpresa delle sorprese, non sempre significa abbandonare tutto per fare felice il consorte.

Se la narrativa, più compassata e introspettiva che in passato, accompagna il giocatore per quindici ore in un’epopea in giro per il mondo – e persino nella nostra bellissima Italia – il gameplay si evolve il giusto rispetto ai predecessori per poter accompagnare di pari passo l’eccellente racconto. Se sulla carta il gioco non sembra chissà quanto cambiato rispetto a Uncharted 3, è nella pratica e nel feeling che si colgono tutte le differenze. Le sparatorie hanno un vero peso, l’Intelligenza Artificiale nemica incalza al punto giusto, e la vastità delle arene permette così tanti approcci che mai uno scontro a fuoco risulta uguale al precedente. L’introduzione di un vero stealth permette anche ai lupi solitari di trarre godimento dall’azione di Uncharted 4, mentre la possibilità di utilizzare un rampino per dondolarsi da un lato all’altro dei campi regala al gioco un dinamismo che pochissimo sparatutto hanno.

Ci si ritrova a ripararsi dietro una parete, poi vederla esplodere, poi saltare dall’altro lato di un burrone, combattere con le unghie e con i denti e passare dalle armi a fuoco al corpo al corpo in pochissimi secondi. Effetti speciali ci circondano, pezzi di ambiente ci crollano addosso: il risultato finale sono scene d’azione in cui noi siamo i protagonisti, così belle da sembrare quasi scriptate. Alcuni livelli a bordo di veicoli con esplorazione libera, poi, fanno tornare alla mente i periodi dei più vecchi Tomb Raider, quando ci si perdeva nella natura selvaggia a bordo di un quad o di un sidecar. Ha più sapore di avventura e Tomb Raider questo Uncharted 4, che l’intera trilogia dei nuovi Tomb Raider, per assurdo.

Se si sorvola su una campagna in singolo con qualche punto morto di troppo, Uncharted 4 è tutto ciò che dovrebbe essere un romanzo d’avventura: divertente, commovente, profondo, bellissimo da giocare, da vedere e da ascoltare. Difficile parlare di videogioco invecchiato, a così pochi anni dalla prima uscita. E ancor meno possiamo dirlo di Uncharted l’Eredità Perduta, piccolo seguito contenuto all’interno della Collection rimasterizzata.

Sull’Eredità Perduta forse dovremmo spendere anche qualche parola in più, considerato come sia ad oggi uno dei capitoli più sottovalutati insieme al terzo. E senza alcuna ragione, aggiungeremmo noi. Sarà stata la pubblicità, che in qualche modo ha dato all’avventura di Chloe e Nadine un retrogusto da semplice espansione, ma ciò che si nasconde dietro la facciata da mini-seguito è un gioco profondo e, per assurdo, persino migliore del quarto capitolo sotto molteplici aspetti. La trama fa giusto qualche passo indietro, tornando ad essere il classico romanzo d’avventura che vi aspettereste da un blockbuster hollywoodiano senza troppi fronzoli psicologici, ma funziona incredibilmente bene. Sarà anche la classica ricerca del tesoro perduto legato all’ultima spedizione di un padre scomparso, ma la messinscena è così convincente, le attrici così brave e i momenti introspettivi così caldi da riuscire comunque a sciogliere il cuore. Confermando, tra l’altro, che Uncharted può funzionare benissimo anche senza Nathan e Sully a reggere sulle spalle l’intero carisma dell’opera.

L’Eredità Perduta cambia direzione nella scrittura e funziona ugualmente alla grande, pur senza osare troppo. E il gameplay ha tante piccole chicche di differenza che, a posteriori, chiunque ha giocato The Last of Us 2 potrebbe vedere della familiarità. È proprio dell’Eredità Perduta, per dire, il merito delle apparizioni di questi enormi HUB esplorabili in veicoli. HUB che sarebbe poi diventato la Seattle esplorabile a cavallo con Ellie e Dina. I valori produttivi sono alti quanto quelli di un capitolo principale, e anche qui troviamo tutto al posto giusto. Se non è la miglior avventura dell’ultimo decennio, è quantomeno la seconda migliore, a un gradino di distanza da Uncharted 4. Ha i bei panorami, ambienti più esplorabili, un ritmo più serrato, qualche strumento d’attacco nuovo e alcune tra le migliori scene d’azione dell’intera saga. A dispetto di quanto ci si potesse aspettare da un gioco stand-alone, la longevità non è neanche così bassa. Si parla di sette o otto ore per vedere i titoli di coda, senza andare troppo spediti: molto meno di Uncharted 4, ma assolutamente in linea con ogni altro episodio del franchise.

Se la qualità dei due giochi contenuti nella collezione è indiscutibile, lo stesso non possiamo dire della rimasterizzazione. Non fraintendeteci: i giochi sono fantastici da vedere su PS5 con tutta la pulizia del caso e, soprattutto, un frame-rate cappato a 60 fotogrammi per secondo granitici. Ma non c’è molto altro che potremmo definire migliorato. Per il semplice motivo che, neanche così a sorpresa, le opere originali di Naughty Dog erano graficamente così avanti da sfiorare già la bellezza della nuova generazione. Difficile migliorare Uncharted 4 e il suo cuginetto, ed è proprio per questo che questa manovra di lifting ci ha fatto storcere il naso fin dall’inizio. Confermandone poi, purtroppo, ogni sensazione col pacchetto completo tra le mani. Abbiamo visto in passato miglioramenti simili offerti anche gratuitamente, ed è sicuramente una cosa da tenere conto. Delude sicuramente l’implementazione del DualSense, che a differenza di un Death Stranding o Ghost of Tsushima fa davvero poco per passare il feeling dell’azione di gioco. Anche sotto questo aspetto, abbiamo visto di meglio, sancendo quindi definitivamente l’inutilità di questo Uncharted Raccolta l’Eredità dei Ladri per chiunque abbia già goduto di questi capolavori in passato.

Il piccolo prezzo da pagare per l’upgrade è effettivamente irrisorio – ma non zero – e gli utenti PC hanno finalmente modo di godere due tra i migliori episodi della saga (se non i migliori in assoluto) acquistando un unico pacchetto. Tutti gli altri troveranno un frame rate raddoppiato (o addirittura 120fps, se si sacrifica la risoluzione), caricamenti (anzi, al singolare, essendocene solo uno all’inizio) fulminei e poco altro. L’assenza della modalità multigiocatore, piccolo grande cult nella community, potrebbe far storcere il naso a più di una persona.

RASSEGNA PANORAMICA
voto
8.8
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