È il momento della novità. Quello di cambiare di tutto, di abbandonare il vecchio per abbracciare il nuovo; l’ora, insomma, che Yakuza non sia più Yakuza. Il taglio netto col passato, a questo giro, è forte.
Ed è, infatti, quello che preoccupò tutti i fan ai tempi dell’annuncio. Il classico combattimento da picchiaduro sarebbe stato sostituito da un sistema a turni classici più vicino alla concezione di un vecchio JRPG. Staticità e Yakuza, come chiunque abbia mai messo le mani sulla saga sa benissimo, non sembra un matrimonio sensato. O forse sì?
Dopo mesi e mesi di discussioni, siamo finalmente riusciti a finire Yakuza: Like a Dragon (settimo episodio della saga principale, ma che ha abbandonato la numerazione) e a scoprire se questo repentino, quasi assurdo, cambio di direzione ha sortito gli effetti sperati.
O se, come hanno temuto in molti, è forse meglio fare un passo indietro e ricordare quale sia la motivazione per cui Yakuza è così amato. Sangue che pulsa nelle vene, azione forsennata e violenza gratuita.
Partiamo dal presupposto che qui parliamo letteralmente di un nuovo corso, di una nuova era. Chiusa definitivamente la storia di Kazuma Kiryu, è il tempo che Ichiban Kasuga salga in cattedra. I riflettori, a questo giro, sono tutti per lui: un bonaccione cresciuto a pane e videogames con una concezione davvero arcaica dell’eroe.
Aiuta i deboli, non riesce a stare al passo con i cambiamenti del mondo (soprattutto quelli nell’ambito della malavita), e ascolta un unico e solo punto di vista: il suo. È sicuramente il più divertente e parodistico protagonista che Yakuza abbia mai avuto ma, per assurdo, la sua è anche una delle storie più tragiche di sempre. Tradito, buttato via, usato come uno strumento, Ichiban torna al suo vecchio nido per fare chiarezza sul passato. E, come sempre, Yakuza non delude.
La narrazione è sempre uno dei punti forti. Difficile dire se Yakuza: Like a Dragon, sotto questo aspetto, sia il migliore di sempre, ma è di certo sul podio. La vicenda di Ichiban colpisce al cuore, appassiona fin da subito, si concede pochissimi punti morti e si appoggia a un cast completamente rinnovato di protagonisti e antagonisti riuscitissimo.
Aspettatevi colpi di scena, momenti strappalacrime, doppi giochi, tripli giochi e sequenze d’azione al cardiopalma. Questo, senza mai accantonare la sua anima più giocosa, quella eccentrica che ha fatto la fortuna di Yakuza soprattutto nei contenuti secondari.
Le attività collaterali sono più in forma che mai e sfoggiano sempre quel pizzico di follia che solo una mente giapponese avrebbe potuto partorire. Questo significa anche che Yakuza: Like a Dragon è il punto d’entrata perfetto per chiunque non abbia avuto modo di godersi la saga precedente; i rimandi ai vecchi episodi esistono, ma son più chicche che strizzano l’occhio ai nostalgici che vere e proprie citazioni.
In poche parole, il neofita può godere la vicenda di questo nuovo episodio senza conoscere assolutamente nulla dei predecessori, ed è una grandissima occasione soprattutto per noi italiani. Dopotutto, è anche il primo gioco dai tempi di PS2 ad essere stato tradotto completamente nella nostra lingua. Non ci sono davvero più scuse.
Yokohama, la nuova città esplorabile, è semplicemente fantastica. Ed è proprio qui che si vede come il team abbia voluto dare un taglio col passato anche e soprattutto a livello tecnologico: dopo Tokyo, Okinawa e Hiroshima, Yokohama (quartiere di Ijincho) è il salto che ci saremmo aspettati da uno Yakuza di nuova generazione.
Ci si sente quasi dei turisti, grazie anche e soprattutto a una vastità che la saga fino a ora non aveva mai raggiunto. Esplorare, cercare oggetti, ma anche già solo ammirare i panorami è tutto su un altro livello rispetto al passato. In generale, le strade cittadine donano una visione di più ampio respiro, e l’impressione di camminare perennemente in stretti vicoletti ZTL è scomparsa definitivamente.
Il Dragon Engine, a questo giro, ha mostrato davvero i muscoli. Ricordiamo anche come il nuovo motore sia capace di caricare interni ed esterni senza alcuno stacco o caricamento, e che il nuovo sistema di animazioni permetta ora di interagire con l’ambiente circostante in maniera molto più fluida e realistica.
Lo stesso vale per i volti e i modelli poligonali dei personaggi principali, tra i migliori che una produzione giapponese abbia mai offerto. Noi l’abbiamo provato su Xbox One X e, in alcuni casi, si sentiva già un retrogusto di next gen.
Per quanto riguarda il sistema di combattimento? Anche dopo averlo provato a fondo, restiamo della convinzione che resti un argomento spinoso.
Farsi un’unica idea che possa mettere d’accordo tutti è impossibile e, alla fine dei conti, il parere di ogni persona dipenderà solo ed esclusivamente dai gusti personali. A prescindere dalla qualità intrinseca del sistema, quello che vi assicuriamo è che, nonostante abbiano avuto l’ardire di scusare il cambiamento persino a livello narrativo, di primo acchito è davvero spiazzante.
L’esperienza generale trasuda Yakuza da tutti i pori, e nelle prime ore sarà normalissimo entrare in battaglia e dimenticare che, al posto di schiacciare tasti forsennatamente, bisognerà scegliere opzioni da un menu a lato. Con un po’ di abitudine, però, si iniziano subito a vedere i lati positivi: in primis, ogni battaglia è infinitamente più strategica che in passato, soprattutto per quanto riguarda gli incontri casuali per strada.
La parametria assume un valore ancor più preponderante, e addestrarsi in giro, acquistare nuovo equipaggiamento e tenere a mente le capacità di ogni membro del party sarà più importante che in passato. Nonostante tutto, non si arriva mai al punto di costringere strategie eccessivamente profonde, puntando più sulla spettacolarità e sulla fluidità dell’azione (che per assurdo non è andata persa, anzi) che sulla tattica vera e propria. I nemici sono molto più differenziati e fantasiosi, così come le loro abilità, e la sensazione che quasi ogni incontro sia unico nel suo genere è sempre forte.
Strano ma vero, questo cambio ha fatto sì che un gioco di per sé molto lungo potesse mantenersi fresco per molto più tempo. E Yakuza: Like a Dragon non annoia mai, anche perché la personalizzazione di ogni membro del gruppo e alle stelle, tra attacchi normali, speciali, di supporto e vere e proprie classi da poter interscambiare. Il controllo che si ha sul proprio stile di combattimento è totale e, incredibilmente, si arriva ai titoli di coda che quasi ci sembrerà impossibile tornare indietro al vecchio metodo di combattimento.
La sensazione è quindi che il gioco sia valso la candela, e che il cambio di gameplay sia un oggettivo passo in avanti dal button mashing più sfrenato dei suoi predecessori. Il sistema mostra il fianco, forse, a soli due problemi: una certa mancanza di controllo degli oggetti sul campo di battaglia e le battaglie coi boss.
I personaggi raccolgono infatti in automatico tutto ciò che trovano sul loro percorso, durante un attacco, per poter sferrare un’offensiva più dura. E questo è fantastico, perché facilita di molto un’azione che nei prequel diventava fin troppo macchinosa, soprattutto nelle scene più concitate.
Il problema, però, è che c’è una certa imprecisione nel riconoscimento delle armi di fortuna sparse in giro. Può capitare vengano ignorate, o che vengano addirittura utilizzate male, poiché in completa balia del motore fisico. Sarebbe stato più facile se avessimo potuto in qualche modo muoverci nell’arena, ma questo non ci è mai concesso.
I boss, invece, sono forse il vero punto debole dell’opera, ed è l’unico momento in cui il combattimento a turni sembra togliere qualcosa, piuttosto che aggiungere.
La mancanza di ritmo, in questo caso, toglie ogni spettacolarità e quasi vanifica tutti gli sforzi fatti a livello di sceneggiatura per rendere un cattivo, per l’appunto, davvero cattivo. Ed è un po’ un peccato perché, come dicevamo, gli incontri con i mob minori invece ne sono usciti largamente migliorati.
Se la strada che SEGA vuole seguire con la saga resterà questa, sicuramente in futuro dovranno trovare un compromesso capace di differenziare gli incontri più importanti da quelli minori. Per il resto, non c’è praticamente null’altro di cui possiamo lamentarci, e sta solo al gusto del singolo.
SEGA, con questo Yakuza: Like a Dragon aveva promesso un vero e proprio punto di svolta per la serie e, possiamo finalmente confermarvelo, lo abbiamo avuto.
È il capitolo più grande della saga, il più rifinito e sicuramente quello tecnologicamente più avanzato. La storia delle origini di Ichiban Kasuga è avvincente, commovente, divertente, mentre la nuova ambientazione è protagonista indiscussa di un vero e proprio tour virtuale che non si limita a mostrarci il vero Giappone, ma a farcelo vivere in prima persona.
Il sistema di combattimento, pur perdendo qualcosina in spettacolarità, guadagna tantissimi punti sotto l’aspetto della personalizzazione e della profondità strategica. È un po’ un prendere o un lasciare, ma ci sentiamo di promuovere anche questo cambiamento con pochissime riserve.
Fosse già solo per il coraggio di stravolgere una formula vincente, ma che aveva ormai bisogno di un vero scossone.
Cosa ci aspetta nel futuro della saga non possiamo saperlo. Il team di sviluppo ha ammesso che se lo stile da JRPG non piacerà ai fan, potrebbe effettivamente tornare sui propri passi. Sinceramente? Lo vogliamo vedere ancora più potenziato invece, più eclettico, più colorato.
Per adesso, non possiamo far altro che dirvi che il ritorno in pompa magna di Yakuza è riuscitissimo, fresco, e sprizza qualità da ogni poro. Bellissima la vicenda, pieno di cose da fare e con cui impegnarsi; e ora anche in italiano. C’è bisogno davvero di aggiungere altro?