Durante l’ultima edizione di Lucca Comics & Games, nella splendida cornice di Villa Bottini, abbiamo potuto ascoltare Arnar Hrafn Gylfason (director of production e product lead per Valorant) e Marco Barone (supervisor e brand management per l’Italia di Riot Games) parlare dell’fps tattico competitivo Valorant, un successo di critica e pubblico da ben 28 milioni di giocatori attivi. In seguito abbiamo anche potuto fare un’intervista ad Arnar Hrafn Gylfason per porgli qualche domanda diretta.
Di seguito, le domande più interessanti da parte del pubblico di Lucca.
- Perché credi che Valorant abbia così tanto successo?
Arnar: La prima cosa, e fondamentale, è capire chi gioca e cosa è importante per il giocatore. Cosa è importante adesso e cosa pensiamo lo sarà anche in futuro. Un’altra domanda che ci poniamo è: cosa non trovano i giocatori negli altri titoli competitivi? Cerchiamo di capire questo in modo da offrire quello che più interessa loro. A quel punto abbiamo un team molto talentuoso con cui sviluppare ogni idea.
- Che impatto ha avuto su di voi l’avere alle spalle un titolo competitivo come League of Legends?
Arnar: Venire da LoL ci ha dato sicuramente grande esperienza, perché appunto anche noi facciamo un gioco iper-competitivo. Ma prima di fare qualsiasi cosa riflettiamo sempre se ciò che stiamo facendo sia effettivamente la cosa giusta per Valorant, e non solo qualcosa di valido perché ha funzionato bene in LoL precedentemente.
- Ci puoi dire qualcosa sul nuovo agente, Iso, e sull’apertura al mercato cinese?
Arnar: Iso è un personaggio che sa maneggiare alla grande le armi e “isola” i nemici per poi farli fuori uno a uno, da cui il nome “Iso” appunto. Valorant lavora coi giocatori per far sì che si sentano rappresentati, le mappe e gli agenti infatti provengono da tutto il mondo. Lanciare il gioco in Cina ha portato alla creazione di Iso, ma non lo abbiamo realizzato con l’idea di mostrare l’immagine più stereotipata e comune della persona cinese, volevamo anzi rappresentare la Cina meno conosciuta e più attuale, per esempio attraverso il suo look un po’ graffiante e non tradizionale.
- Come avete avuto l’ispirazione per Ascent, la mappa ambientata a Venezia? Avete mai pensato a un agente italiano?
Arnar: Quasi tutto quello che vedete in Valorant a livello di mappe e a livello artistico è fatto in modo da creare qualche collegamento coi giocatori, non è qualcosa di astratto o lontano. Nel caso specifico abbiamo preso una squadra e l’abbiamo mandata a Venezia per studiarne l’architettura e riportarla adeguatamente in gioco. La scelta di Venezia è per il motivo più semplice che ci sia: è una città bellissima. Per l’agente italiano ci sono molte personalità alle quali stiamo lavorando attualmente, ma perché no? Magari in futuro.
- Avete in programma di aprire un server sul suolo italiano?
Marco: Sappiamo che in questo momento l’Italia non ha un suo server, ma viene fatta un’analisi quasi mensile per capire se ci siano le opportunità per migliorare l’infrastruttura. In questo momento, stando alla heatmap del numero delle connessioni nelle varie zone, non si è ancora presentata questa necessità, ma non è escluso che in futuro le cose cambino.
- Quali sono i vostri agenti preferiti da giocare?
Arnar: Uso Raze quando ho voglia di giocare in modo aggressivo, anche se finisce che mi fanno fuori subito. Scelgo Sova invece quando ho voglia di giocare in maniera competitiva. Al lavoro facciamo spesso dei tornei interni, in quelle occasioni uso Sova per vincere…e spesso succede.
Marco: Io giocavo Sova, ma da quando abbiamo lanciato Fade uso lei, mi piace il ruolo dello scout anche perché le mie abilità sono quello che sono, purtroppo più sali di livello (nel senso di invecchiare NdR) e più i riflessi scendono.
- Cosa ci puoi dire del futuro di Valorant?
Arnar: Vogliamo che sia il miglior gioco competitivo in circolazione, non per appuntarci una medaglietta sul petto ma per i giocatori, per far sì che si divertano a ogni livello, dai nuovi arrivati ai più competitivi. Non possiamo dire cosa vi aspetterà in futuro, ma aspettatevi tanto contenuto interessante.
Di seguito, invece, il nostro faccia a faccia con Arnar Hrafn Gylfason.
- Puoi spendere qualche parola in più sul processo di creazione degli agenti?
Per gli agenti e le mappe cerchiamo le idee da più parti possibile, vogliamo che per i giocatori siano una fonte di ispirazione, che possano specchiarcisi. Quindi cerchiamo di essere autentici. Prendi per esempio Raze, non diciamo soltanto: “oh, Raze viene dal Brasile”, ma cerchiamo di capire quale sia il background adeguato per lei, quale sia la musica che ascolta, cosa le piace, a cosa tiene.
Lo stesso è stato con gli ultimi agenti, come Iso. Abbiamo cercato di capire quale fosse la cultura di strada cinese di oggi, come i giocatori cinesi volessero venire rappresentati agli occhi del mondo, quale sarebbe per loro la musica o la moda più cool. Il nostro obiettivo è che un giovane cinese guardi Iso e pensi: “questo è come mi vesto, questo è quello che mi piace, mi sento visto e ascoltato“. Ma anche per i giocatori provenienti da altre parti del mondo vorremmo che pensassero: “ah, dunque è questo ciò che succede in Cina oggi”. Dare una finestra su altre parti del mondo.
- Come riuscite a fare in modo che il gioco sia sempre bilanciato?
A volte non ce la facciamo (ride, NdR), ma la cosa più importante è che monitoriamo costantemente il gioco. Prima di far uscire una mappa o un agente facciamo centinaia di test interni per pensare a cosa potrebbero fare con loro i giocatori nelle varie situazioni, e dopo il lancio la cosa fondamentale è osservarli, vedere come approcciano il gioco.
A quel punto, se serve, cerchiamo di intervenire il più velocemente possibile, ma comunicando sempre con loro. Ogni volta che facciamo un cambiamento lo motiviamo, spiegando ai giocatori le ragioni e l’obiettivo del cambiamento. E se la community dovesse rispondere negativamente siamo anche pronti a tornare indietro sui nostri passi. È un loop iterativo costante: ascoltiamo davvero moltissimo la community nei nostri processi di sviluppo.
- Puoi farmi un esempio di quando qualcosa in questo processo è andato davvero davvero storto?
(Ci pensa NdR) Mi viene in mente un esempio dei primi tempi: Raze aveva due granate invece che solo una, e questo era qualcosa di totalmente sbilanciato. Ci siamo detti: “Dio mio, cosa stiamo facendo?”. Più tardi abbiamo fatto dei cambiamenti ad Ares, la mitragliatrice, e i giocatori ci hanno detto: “ma che avete combinato? È completamente inutile ora!” e abbiamo cominciato a sudare freddo pensando che nessuno l’avrebbe più utilizzata. Quindi abbiamo apportato degli ulteriori cambiamenti.
Ma succede costantemente, l’ultimo anno per esempio abbiamo ritoccato la mitraglietta Stinger, nonostante i giocatori non fossero contenti, perché cambiava troppo il modo di giocare in un modo che non ci sembrava adatto a Valorant, e che non volevamo. La cosa importante è dire ai giocatori perché facciamo questi cambiamenti, e non semplicemente farli. Devono capire perchè lo facciamo, non necessariamente gradirlo, ma pensare che il nostro obiettivo è sempre quello di fare il bene del gioco.
- Sappiamo che Valorant non soffre il problema dei cheaters, e anche i comportamenti tossici sono puniti, mentre ci sono alcune lamentele che riguardano il fenomeno dello smurfing (consiste nel crearsi un nuovo profilo per essere abbinati a giocatori di un livello di abilità molto inferiore al proprio, facendone facile carne da macello e dominando ogni partita NdR). Cosa ne pensate?
Lo smurfing è un fenomeno molto interessante. Voglio dire, in alcuni casi è più che legittimo crearsi un nuovo account, magari per giocare coi propri amici meno esperti. E questo ovviamente ci va bene, il problema è quando diventa un comportamento distruttivo, fatto intenzionalmente per massacrare chiunque con facilità, ma rovinando le partite e l’esperienza soprattutto ai nuovi giocatori.
Noi continuiamo a monitorare la situazione e a dare importanza ai report dei giocatori, così come a dei risultati palesemente fuori standard come 40 o magari 50 kill a partita. Stiamo attualmente lavorando a degli strumenti che speriamo funzionino bene in futuro, rendendo più difficile il verificarsi di tali situazioni, ma al momento non posso entrare nel dettaglio.
- Alcuni giocatori pensano che nel gioco sia oggi più facile fare run & gun rispetto al passato, sei d’accordo?
Non sono d’accordo (ride NdR). In realtà sì e no, per l’appunto avevo menzionato i cambiamenti alla Stinger proprio perché eravamo intervenuti per evitare di avere giocatori che potessero scorrazzare in giro sparando a tutti. Noi vogliamo che il gunplay di Valorant sia basato su precisione e abilità, ma dall’altra parte vogliamo anche che il giocatore si senta mobile, e che la partita sia una combinazione tra movimenti prevedibili e movimenti imprevedibili.
Ritorniamo nuovamente alla questione del bilanciamento e dell’ascoltare la community. Sappiamo che è spiacevole quando qualcuno che fa run & gun riesce a piazzarti contro un headshot, ma succede davvero di frequente o semplicemente dà molto fastidio nelle rare occasioni in cui succede? È questo quello che cerchiamo di triangolare: qual è il peso reale del problema di cui un giocatore si lamenta? Io penso che ora, specialmente dopo i cambiamenti che abbiamo fatto al fucile Judge, questo fastidio sia diminuito, ma la questione è in costante evoluzione, e i giocatori trovano sempre nuove vie per giocare.
A quel punto il tempo a nostra disposizione per l’intervista si è esaurito, ma siamo riusciti a ottenere davvero molte informazioni interessanti. Ringraziamo infinitamente Arnar Hrafn Gylfason per la disponibilità e Laboratorio Comunicazione per aver reso l’incontro possibile. Vi ricordiamo, infine, che potete giocare a Valorant gratuitamente sui vostri PC.