Broken Age

Tutti coloro che hanno vissuto in prima persona l’epoca d’oro delle avventure grafiche conosceranno sicuramente il buon vecchio Tim Schafer, l’ideatore di fantastiche storie tra le quali non possiamo non citare l’indimenticabile Monkey Island, il gioco di culto per eccellenza per una generazione di gamer ma anche, tristemente, un titolo ignorato da molti ragazzi cresciuti a pane e PlayStation. Così Tim, dopo essersi dedicato a titoli certamente rilevanti ma mai alla pari del sopraccitato, ha deciso di tornare a operare all’interno di un genere videoludico ormai snobbato (anche se di recente riportato alla ribalta da Telltale), dimostrandoci che per creare un capolavoro non serve per forza una grafica ultrapompata e le solite trame trite-e-ritrite, ma “solo” un po’ di originalità e fantasia.

Alla base della trama vi sono tematiche tutt’altro che banali e protagonisti che riescono a entrare dentro l’anima del giocatore.

Così, quando su Kickstarter ha chiesto ai suoi fan la (non troppo) modica cifra di 400.000 dollari per la realizzazione di un punta e clicca “vecchio stile”, è successo che il nostro Tim abbia ricevuto in realtà ben più di tre milioni! Soldi spesi bene? Ora possiamo dirlo: sì, senza alcun dubbio. L’intero racconto di Broken Age ruota attorno a due protagonisti tanto distanti quanto legati da un qualcosa che li accomuna: da una parte c’è Vella, coraggiosa ragazza che durante un giorno di festa è costretta a dover sacrificare se stessa per salvare la famiglia e gli amici da un temibile essere mostruoso di nome Mog Chothra; dall’altra c’è Shay, adolescente dal passato importante ma misterioso, recluso nella sua navicella così da non poter correre nessun rischio e costretto a passare tutti i giorni nello stesso snervante modo in compagnia di un’intelligenza artificiale che gli fa da mamma e che gli offre di continuo minigiochi e rompicapi da risolvere. Niente in comune, dunque, tranne la volontà di fuggire da quella vita e (finalmente) crescere, così da poter affrontare il mostro nel caso di Vella, o da esplorare l’universo nel caso di Shay.
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La cura per il dettaglio, i colori, l’illuminazione e la semplicità d’approccio rendono tutta l’avventura molto fluida e intrigante.

Trattandosi di un gioco che punta principalmente sulla trama, non andremo avanti nel racconto per evitare odiosi spoiler. Vi anticipiamo soltanto che alla base della trama vi sono tematiche tutt’altro che banali e protagonisti che riescono a entrare dentro l’anima del giocatore, strappandogli di tanto in tanto qualche sorriso e, altre volte, anche una lacrima. La semplicità del gameplay è il cardine della produzione: il classico punta-e-clicca vecchia scuola dimostra infatti di non essere così “vecchio” come si penserebbe, si passa da enigmi logici a dialoghi da studiare, da combinazioni di oggetti ad attente esplorazioni… proprio come si faceva una volta! Forse l’unico difetto che possiamo attribuire al titolo è il fatto di non essere mai così complesso da creare nel giocatore veri e propri momenti di stasi, come quando in Monkey Island bisognava spremersi le meningi per superare determinati momenti di pensiero laterale. Anche perché, nei momenti in cui l’avventura si fa più complicata, avremo la possibilità di passare da un protagonista all’altro, così da rimandare la risoluzione del problema ed evitare la frustrazione. Lo stile moderno e curato rende il gioco un must-have per gli amanti del genere.
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Forse l’unico difetto che possiamo attribuire al titolo è il fatto di non essere mai così complesso da creare nel giocatore veri e propri momenti di stasi.

Broken Age è ovviamente bidimensionale: la cura per il dettaglio, i colori, l’illuminazione e la semplicità d’approccio rendono tutta l’avventura molto fluida e intrigante, e ci danno la possibilità di concentrarci sulle spettacolari ma curiose ambientazioni, nonché sull’eccellente lavoro compiuto per quanto riguarda i dialoghi, poetici come non mai, che mostrano il vero livello di maturità cui è arrivato Schafer. Senza dubbio siamo lontani anni luce dall’ansia che infesta i giochi moderni. La punta di diamante è, infine, la colonna sonora, che rende il gioco ancora più memorabile di quanto già non sia. Per quanto riguarda le voci e le interpretazioni dei protagonisti, Double Fine ha potuto contare su talenti di altissimo livello come Jack Black, Elijah Wood e Jennifer Hale.

In conclusione, i ragazzi del team non hanno deluso le nostre aspettative donandoci un gioco dal livello narrativo elevatissimo e dallo stile grafico straordinario, che spesso somiglia a un vero e proprio dipinto. Diciamocelo: l’unica vera debolezza dell’intera produzione è il fatto di essere diviso in due capitoli… aspettare il prossimo sarà una vera tortura!