Call of Duty WWII: nel racconto, anche olocausto, razzismo e antisemitismo

Nonostante i Call of Duty precedenti fossero distanti anni luce dal concetto di maturità – e, per certi aspetti, persino realismo – sembra proprio che WWII sia pronto a passarsi una mano sulla coscienza e a evolversi, finalmente, a un livello superiore.

Sledgehammer Games è sicura che i giocatori sono più maturi oggi di quanto siano mai stati in passato e, per questo motivo, pare sia arrivato il momento di trattare la guerra senza vergogna, senza il bisogno di nasconderne le più brutali atrocità dietro una grafica scintillante e un gameplay veloce e appagante.

Call of Duty WWII, da poco annunciato, spazierà di tematica in tematica e, sfortunatamente per i deboli di stomaco, nessuna di queste sarà facile da digerire.

Gli anni ’40 non erano solo gli anni della guerra, ma anche quelli del razzismo, dell’antisemitismo e, soprattutto, dell’olocausto. Stando alle parole del team, è arrivato il momento di farsi forza e di non scappare dal passato, neanche nei videogiochi.

Non dobbiamo vergognarci del nostro passato. L’intenzione è quella di parlarne, nel modo più rispettoso possibile”, ha infatti spiegato Bret Robbins, creative director.

“Durante quella guerra, sono accadute cose indicibili, e ci sembrava sbagliato ignorarle”.

“Purtroppo, era anche l’epoca dell’antisemitismo. Le persone erano razziste, e buona parte della nostra storia sarà incentrata su questo. Il razzismo esisteva, e i nostri personaggi sbatteranno il muso contro questa realtà più volte”.

“L’amico del protagonista, Zussman, è ebreo. Non tutti, nella squadra, sono disposti ad accettarlo. Purtroppo, è una croce che ha portato per tutta la sua vita. Più in là, si aggiungeranno a noi anche degli afroamericani. Proprio come accade con Zussman, non sorvoleremo sul fatto che gli alleati abbiano difficoltà ad accettarli in squadra”.

Mostreremo ogni atrocità e, per quanto sia stato un periodo oscuro nella storia dell’umanità, non possiamo far finta che non esista. E non si può raccontare nulla di realistico, se si evitano queste questioni”.

“Perché proprio ora? Perché penso che i videogiochi siano cresciuti. 15 anni fa nessuno si aspettava storie mature e, per questo motivo, le software house non erano neanche motivate abbastanza per crearle. Gameplay e grafica avevano la precedenza su tutto”.

“Sento che le aspettative e la maturità dell’utenza sia cambiata. Io stesso, quando gioco a qualcosa, mi aspetto una buona trama, qualcosa di profondo che mi catturi su un livello differente, proprio come un film”.

“In fin dei conti, è solo questione di maturità. Le persone, ora, sono pronte“.

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