DOOM: The Dark Ages: il Re degli FPS si reinventa e lo fa in grande, di nuovo – Recensione PC (e PS5)

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DOOM: The Dark Ages è una figata clamorosa. Basterebbero queste parole per descrivere l’ultima fatica di id Software, capace ancora una volta di reinventarsi dopo un DOOM: Eternal che, a sua volta, era una cosa totalmente diversa dal reboot del 2016. Le premesse dietro DOOM: The Dark Ages sono state ripetute più volte: in Eternal, lo Slayer era l’equivalente di un caccia, in The Dark Ages ci troviamo invece al comando di un carro armato inarrestabile. Un cambio di registro netto da parte dei ragazzi di id, intenzionati più che mai a tenerci coi piedi per terra (un po’ come nei primi DOOM, da cui si sono ispirati) e, come se non bastasse, troviamo anche un maggior impegno nella narrativa. Non aspettatevi un’epopea come Red Dead Redemption 2. Ma nemmeno qualcosa come Wolfenstein: The New Colossus, e va bene così. DOOM non ne ha bisogno, non ancora almeno.

“Nella Prima Era, nella prima battaglia, quando si allungarono le ombre, uno solo sopravvisse. Bruciato dalle fiamme dell’Armageddon, l’anima piagata dai fuochi infernali e corrotto oltre ogni ascensione, scelse la strada dell’eterno tormento. Nel suo temibile odio, non trovò pace, e con sangue ribollente solcò le Piane Umbral per vendicarsi dell’affronto dei Signori Oscuri. Portava la corona delle Sentinelle della Notte e coloro che assaggiarono il filo della sua spada lo chiamarono… Il Doom Slayer.

È proprio in questi testamenti che, come ci fu anticipato poco dopo il reveal, si collocheranno le vicende di DOOM: The Dark Ages. Questo nuovo capitolo non farà infatti da sequel di Eternal, bensì sarà ambientato tra gli eventi di DOOM 64 e DOOM 2016. Lo Slayer, qui ancora al servizio Kreed Maykr (un membro dei Maykr, la razza aliena che abbiamo già incontrato in Eternal NdR), si troverà a combattere al fianco delle Sentinelle della Notte, capeggiate da Re Novik e sua figlia Thira. Le forze dell’Inferno si fanno sempre più pressanti e a capeggiarle troviamo proprio lui, Ahzrak, uno di quei Signori Oscuri menzionati nel Testamento.

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Approfittando della natura prequel, id Software ha deciso di stravolgere l’ambientazione. Si abbandonano dunque le stazioni spaziali della UAC, le fatiscenti città terrestri trasformate in abomini organici e le suggestive ambientazioni aliene di Urdak, in favore di un contesto di stampo più tecno-medievale. A subirne gli effetti è anche lo stesso DOOM Slayer, e non si sono limitati all’aggiunta di quella tamarrissima pelliccia. Il contesto tecno-medievale ha spinto il team a riprogettare non solo l’arsenale dello Slayer, ma anche il gameplay stesso. Cosa c’è di più tecno-medievale di uno scudo e una mazza di ferro? Letteralmente null- anzi no! Uno scudo che può diventare una motosega!

È proprio dallo scudo che si costruiscono le basi di DOOM: The Dark Ages, che presto si rivelerà essere un gioco molto più incentrato sul Melee che in passato. Si spara eh, per carità. È un DOOM, se non si spara qui allora c’è qualche problema di fondo, ma la cura riposta verso il corpo a corpo è qualcosa che non si era mai visto nel franchise. Il team di id Software hanno infatti inserito ben due strumenti atti allo scopo: il già citato Sega Scudo, utile sia alla difesa che all’attacco, e un attacco da mischia, quest’ultimo suddiviso poi in tre differenti armi da poter scegliere.

Il Sega Scudo è, come suggerisce il nome, uno scudo che all’occorrenza si trasforma in una sega rotante. Questo versatile strumento si rivelerà fondamentale negli scontri, ora non più votati alla schivata come in Eternal, bensì al parry. Sarà possibile schivare alcuni attacchi, ma in generale lo Slayer è ora più pesante che in passato e sprovvisto di quegli scatti improvvisi visti in Eternal. E anche se potessimo attingere a essi, si rivelerebbero comunque inutili in buona parte delle situazioni, vista la quantità di proiettili da schivare.

Sbagliare un parry ha ovviamente delle conseguenze, traducibili in uno scudo che può rivelarsi inutilizzabile fino a quando non si ricarica o, in alternativa, il danno diretto alla salute. Contro alcuni nemici, le due cose si collegheranno l’una con l’altra, in quanto alcuni di essi vi caricheranno inesorabilmente senza darvi un attimo di respiro. Ed è anche per questo che il tempismo si rivelerà fondamentale. Una volta che riuscirete a centrare il timing, respingerete l’attacco al mittente e gli provocherete danni, nonché attiverete le Rune dello Scudo, sbloccabili andando avanti nell’avventura.

Non c’è difesa migliore dell’attacco e il Sega Scudo incarna alla perfezione questo concetto. Oltre a poterlo usare come un ariete dalla forza devastante, lo Scudo Sega può infatti diventare una pratica lama rotante simile a uno Smart Disk di Predator 2 e che non solo riesce ad affettare tutti i nemici minori, ma si rivela fondamentale per bloccare quelli più sfuggenti (maledetti Revenant), distruggere le armature o sbarazzarsi degli scudi di metallo, a patto che questi siano “superscaldati” (di base, dovrete colpirli fino a farli diventare incandescenti). La Sega è inoltre utile anche in alcune sezioni di platform, quest’ultimo non usato come in Eternal, ma comunque presente. Dovremo infatti usarla per salire in alcuni luoghi o per attivare meccanismi specifici, trovando magari anche segreti, chiavi di accesso e collezionabili.

Le Armi da Mischia ricopriranno invece il ruolo di quello che, in DOOM 2016 ed Eternal, era l’Esecuzione. Ci sono però un po’ di differenze. Innanzitutto, l’esecuzione ora è in tempo reale e libera, dunque starà al giocatore scegliere come finire un nemico. Capiterà che si inneschino delle animazioni, ma nulla a che vedere con quanto visto in Eternal. Inoltre, le Esecuzioni ora ricaricheranno le munizioni o la corazza a seconda dell’arma equipaggiata. La salute si acquisisce invece combattendo contro i nemici, con la quantità di drop di salute che varierà a seconda dello stato dello Slayer. In alternativa, ci saranno diversi medikit sparsi in giro. La cosa folle è che si potrebbe effettivamente completare il gioco senza usare armi da fuoco e andando avanti solo di parry e armi da mischia. Paradossale, considerando il franchise.

In ogni caso non preoccupatevi. Le armi da fuoco sono tutto fuorché facoltative e anzi, risulteranno fondamentali. Anche qui, in funzione di un’estetica profondamente diversa e di un gameplay più lento di quello visto in Eternal, troviamo dei cambiamenti. Innanzitutto, le armi hanno un aspetto che riprende il concetto tecno-medievale, distaccandosi abbastanza dal passato. Esse sono suddivise in slot in maniera simile a quanto visto con il BFG e la Unmaykr di Eternal. Lo Shotgun ora ha lo stesso slot della Doppietta e così via, impedendo quindi di fare i quick-switch frenetici del predecessore, e l’estrazione dell’arma è ora più lenta che in passato. Ma se pensate che questo possa limitarvi, beh… potete stare tranquilli.

Una volta scesi in campo e sbloccate le principali funzioni, si resta spiazzati da come questo combat system riesca a fondersi e creare una combinazione unica. Una volta che si entra nel flow di DOOM: The Dark Ages, ogni cosa appare istintiva e resterete spiazzati quando riguarderete alcune vostre clip e constaterete come esse non sfigurerebbero per nulla in un trailer ufficiale di Bethesda. Uno si sforza a trovare dei difetti, ma… non ci sono. Nemmeno il timore delle mappe troppo dispersive si è concretizzato. Esse sono sì, più vaste che in passato, ma la quantità di nemici e la varietà delle bocche da fuoco è tale che non ci si annoia effettivamente mai.

Ogni arma è ben caratterizzata e ha una sua utilità. Gli shotgun sono perfetti per ricaricare la corazza o far fuori nemici potenti con attacchi ravvicinati. Le Armi al Plasma, una volta potenziate al massimo, fanno danni anche ai nemici vicini. E poi ci sono le novità, come l’Impalatore, con cui… beh, impalare i nemici ripensando ai bei tempi di Painkiller, oppure gli Spaccateschi, armi devastanti e capaci di far fuori grosse quantità di nemici. Onestamente, chi ha avuto l’idea degli Spaccateschi merita un aumento. Per chi si chiedesse del BFG: c’è anche lui, ma è un po’ diverso da come ce lo ricordavamo. Il funzionamento è però analogo.

DOOM: The Dark Ages offre anche una sfida ben calibrata già con le difficoltà pre-impostate. In Ultra Violenza, il gioco riesce a essere impegnativo, ma senza risultare frustrante o ingiusto, e lo stesso vale anche a Incubo. Una cosa però è da specificare: in queste difficoltà, il gameplay non è meno frenetico di Eternal, o quantomeno non dell’Eternal base. The Ancient Gods fa storia a se. Fortunatamente, i giocatori potranno aggiustare la difficoltà a proprio piacimento tramite i vari slider che id Software ha inserito, così da trovare il giusto compromesso.

Per chi preferisce un gameplay lento, c’è addirittura la possibilità di rallentare la velocità di gioco o ampliare la finestra di parry. Chi ama le sfide sarà invece felicissimo di sapere che la difficoltà Incubo non corrisponde al ‘worst case scenario‘. Ci sono infatti diversi slider da poter ancora regolare per rendere il gioco più difficile. Esattamente, volendo potrete farvi una difficoltà addirittura peggiore. Segnaliamo inoltre la presenza di una difficoltà Incubo aggiuntiva dove dovremo contare sulle vite che troveremo lungo il gioco (vite presenti anche nella modalità base, seppur limitate a 3 per volta). Infine troviamo la difficoltà Ultra Incubo classica di DOOM. È come Incubo, ma col permadeath.

Parlando di nemici, essi hanno subito cambiamenti estetici importanti, rendendo alcuni di essi così irriconoscibili da sembrare qualcosa di totalmente diverso da ciò a cui siamo abituati. L’esempio più lampante sono i Cacodemoni, una volta quasi ‘pucciosi‘ e pupazzosi, ora trasformati in un incubo ambulante che sembra essere uscito da un racconto di Lovecraft (riferimento non così casuale, per chi ha visto tutti i trailer. Ma tranquilli, non faremo spoiler). Cambiano anche le abilità dei vari demoni, sebbene di base essi restino grossomodo come li conoscevamo.

Gli Imp saranno scaltri ma fragili, mentre gli Imp Inseguitori, il cui design è una perfetta riproposizione moderna dell’iconico Imp degli anni ’90, saranno una variante più resistente e potente. I Mancubus saranno goffi, ma mai da sottovalutare grazie ai loro cannoni e al loro vomito. I Cavalieri Infernali vi caricheranno a testa bassa e sia i Revenant che i già citati Cacodemoni prenderanno possesso della zona aerea e vi attaccheranno a distanza. E infine ci saranno i Cyberdemoni che… beh, non necessitano particolari presentazioni. Se ne vedete uno: andategli addosso così da costringerlo a fare attacchi ravvicinati e massacratelo a furia di parry perfetti e colpi ben assestati.

Come in ogni DOOM che si rispetti, però, troveremo anche dei nuovi e pericolosissimi demoni, come il Komodo: un temibile rettile armato di motosega che non vi darà un attimo di respiro e vi farà a pezzi qualora non aveste padroneggiato le meccaniche di gioco. O il Capriccio, una simpatica conoscenza che non vi anticiperemo. Tutti questi nemici avranno anche delle varianti uniche che, una volta uccise, andranno a potenziare uno tra Salute, Armatura e Munizioni, con i Cristalli, i Ciondoli e gli Ori che saranno invece relegati al potenziamento di Scudo e Armi da Mischia.

La novità più interessante, quantomeno per epicità, è però rappresentata dall’introduzione dei Titani, demoni colossali che necessiteranno di artiglieria pesante per essere tirati giù. E qui entreranno in gioco altre due novità importanti: l’Atlan e il Serrax. Questi esseri, che avevamo solo potuto ammirare da fuori in DOOM: Eternal, sono delle macchine di morte dalla potenza devastante. Gli Atlan sono capaci di muoversi a una velocità folle, tanto da poter schivare attacchi, e possono devastare qualsiasi titano si pari davanti al loro passaggio. Il Serrax, fidato drago dello Slayer, ci offre invece una prospettiva dall’alto, fatta di sezioni aeree interessanti e inseguimenti inaspettati. Entrambi rappresentano un ottimo stacco tra una sessione di sparatorie e l’altra, offrendo al tempo stesso quella dose di fanservice che i fan chiedevano dal 2020.

Laddove si fatica a trovare difetti sul combat system, non si fatica invece a storcere il naso di fronte alla carenza di power up, tratto distintivo della serie, e a come sono state gestite le boss fight, forse un po’ troppo concentrate verso la fine del gioco. Non che ne manchino prima, sia chiaro, ma anche quest’ultime non danno quella parvenza di ‘boss-fight’ che ti davano boss fight come quella del Razziatore o del Doom Hunter, con entrambe che avevano anche una effettiva introduzione (la base del Doom Hunter è cinema). Quantomeno esse sono tutte di buona fattura. Le boss fight oscene come quella di Davoth (che per assurdo sarebbe stata più adatta in The Dark Ages) sono un lontanissimo miraggio, fortunatamente. Infine, come dicevamo, la narrativa è un po’ il punto debole della produzione, ma questo è un difetto relativo. Chi compra DOOM non si aspetta chissà quale storia e anzi, il passo in avanti rispetto ai predecessori è comunque evidente.

Concludiamo il discorso spostandoci sul comparto tecnico. Un comparto tecnico che si può definire in una sola parola: eccellente. Oltre a offrire scorci spesso suggestivi grazie a una direzione artistica perfetta (e che sa anche regalare momenti di puro orrore cosmico), id Tech 8 riesce a dimostrarsi per l’ennesima volta un motore allucinante. È impressionante come questo gioco, che ricordiamo sfruttare massicciamente il ray tracing, riesca a girare stabilmente sopra gli 80fps in Quad HD con una RTX 4070, usando il DLSS su Qualità. Quando diciamo che i nemici a schermo sono tanti, non esageriamo. id Tech 8 ti pone di fronte a dozzine di demoni, con proiettili sparsi ovunque e anche elementi di scenario che possono essere distrutti. Non manca qualche texture un po’ stonata, ma il colpo d’occhio generale lascia spiazzati.

Altrettanto lodevole è il comparto sonoro, che non si discosta dai classici livelli altissimi di DOOM. La mancanza di Mick Gordon si sente, è innegabile, ma il lavoro svolto da Finishing Move è comunque ottimo e anzi, forse addirittura più coerente con l’ambientazione di The Dark Ages. In alcuni momenti è davvero difficile non galvanizzarsi con la colonna sonora del gioco. Meno esaltante la localizzazione, ma meramente per una questione di mixaggio del doppiaggio italiano. È possibile addirittura sentire l’audio originale del gioco abbassarsi per far risaltare il doppiaggio nostrano, qualcosa che nel doppiaggio originale non avviene. Non è da escludere che questo sia un difetto temporaneo e relativo alle sole build di review.

Insomma, l’ho detto che DOOM The Dark Ages è una figata clamorosa? A netto dei già citati, e nemmeno eccessivamente invalidanti, difetti, l’ultima avventura di id Software conferma l’abilità di questo team di reinventarsi di release in release, ispirandosi addirittura al proprio passato. Durante le 22 ore che ho dedicato a DOOM: The Dark Ages, non c’è stato nulla che si potesse definire riciclato (ok, una cosa sì, le animazioni di morte di Eternal. Sarebbe stato bello averne di simili al reboot del 2016) e, cosa ancora più importante, che si possa definire mal pensato o ripetitivo. Il Sega Scudo è una trovata perfetta da cui il team ha costruito le fondamenta di un gioco e l’estetica generale, tra ambientazioni, armi e nemici, lascia senza fiato. Il tutto è poi impreziosito da una direzione artistica eccellente e un motore grafico capace di offrire tanto e chiedere relativamente poco. Certo, c’è da vedere come girerà in Path Tracing, ma l’update arriverà solo dopo il lancio. È il miglior DOOM di sempre? A mio modo di vedere no, ma semplicemente perché gli ultimi 2 lavori di id Software sono così diversi che è quasi impossibile dire se sia meglio Eternal o The Dark Ages. L’unica certezza è che, come nel 2020, id è riuscita a riproporre qualcosa che si lancia ai vertici del genere FPS. Un’altra volta. Dopo 32 anni dal primo capitolo. Id Software è una sentenza.

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La versione per PS5 a cura di Nicholas Mercurio

DOOM: The Dark Ages su PlayStation 5 mantiene i sessanta fotogrammi al secondo. Grazie al nuovo motore grafico scelto per l’occasione, le immagini, come la versione PC testata dal nostro Kristian, offre degli scorci sensazionali alla massima risoluzione, con moltissime impostazioni dedicate. Il menu, infatti, dispone di tante scelte per ottimizzare al meglio l’avventura, con un numero generosissimo di impostazioni su cui il giocatore può mettere direttamente mano.

Inoltre, è da segnalare la compatibilità del Dualsense, con il feedback aptico sfruttato a dovere: il pad di casa Sony emette rumori di vario genere, specie quando si devia un attacco nemico o si opta per qualche altra scelta, come la raccolta di pezzi di corazza nel corso dell’avventura.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
9.5
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