Se ci fermassimo a guardare la sola copertina dell’epoca in cui viviamo, saremmo probabilmente portati a ritenere che l’umanità abbia raggiunto il proprio acme culturale. Mai prima d’ora avevamo del resto avuto un accesso all’informazione così diretto e trasversale, né tantomeno il lusso di confrontarci con tante interpretazioni della nostra dimensione sociale, politica, economica e artistica. A primo acchito, ci sarebbe da sentirsi alquanto fieri del risultato raggiunto, peccato che voltando pagina ci si ritrovi però dinnanzi ad una realtà paradossale, in cui quasi nessuno sembra saper più cosa farsene di tutte queste opportunità: nell’era della conoscenza a portata di click, l’uomo ha infatti scelto di non cliccare più, rimpiazzando la lettura dei testi con un semplice sguardo al titolo che li precede. Il pugno di parole assemblate col solo scopo di catturare l’attenzione del pubblico ha finito così per trasformarsi nell’articolo stesso e costituire, agli occhi dei più, tutto il necessario per esprimere giudizi implacabili, formulare commenti infuocati e opinioni lapidarie. In questo maelstrom di fraintendimenti, conclusioni frettolose e preconcetti di ogni sorta, la tesi del critico e, con essa, tutti gli sforzi profusi da quest’ultimo al fine di esporre la propria visione del tema trattato non possono che assumere un ruolo del tutto irrilevante, con conseguenze catastrofiche sulla circolazione delle idee, la credibilità del flusso informativo e la qualità stessa della comunicazione. Si trattasse di casi isolati o magari confinati a specifici argomenti di interesse relativo, l’esigenza di un corale richiamo alla Ragione, quella con la erre maiuscola, sarebbe forse meno urgente. Di fronte alla recente indagine condotta da Reddit secondo cui il 73% dei post viene votato, commentato o condiviso senza che gli utenti ne abbiano prima visualizzato il contenuto, la faccenda assume invece connotati da crisi globale. Nel momento in cui la lettura diventa opzionale o persino superflua, la validità del dibattito non può infatti che svilire, precipitando gli individui in un circolo vizioso di mezze verità e vacue approssimazioni destinate a distorcere la comune percezione della realtà. Perché, in fin dei conti, è questo che accade quando opinioni e pensieri vengono modellati soltanto in base a semplici slogan e non in virtù di un’adeguata documentazione: le sfumature scompaiono, le posizioni si radicalizzano, il confronto diventa scontro e la pluralità delle opinioni viene spartanamente divisa tra totale indignazione o cieca adesione.
Per quanto possa risultare ironico visti i mezzi a disposizione, non è purtroppo un caso che il giornalismo tradizionale viva proprio oggi la sua ora più buia ed è francamente naturale che a infliggergli il colpo di grazia saranno i portali di meta-valutazione. Quando il pubblico pretende che l’analisi di alcunché venga condensata in una stitica riga di testo, la coscienza critica di un professionista non può del resto che cedere il testimone alle sole percentuali di gradimento. Ma siamo davvero pronti a privarci di questa risorsa? Possibile che la nostra pigrizia abbia assunto dimensioni tali da portarci a considerare la lettura di un pezzo come tempo sottratto allo scrolling del feed? Se il cuore spera di no, i segnali che intercettiamo sembrano puntare verso il sì. E a sottoscriverlo non è il solito pessimismo cosmico di chi vi scrive, bensì i freddi numeri: quelli di un QI medio in caduta libera da anni dopo secoli di costante ascesa; quelli che riportano le disarmanti metriche dei nostri siti e, più di ogni altra cosa, quelli che macinano le AI più gettonate. Piuttosto che utilizzarla come uno strumento complementare all’opera di ricerca e approfondimento, la maggioranza di noi preferisce difatti delegare all’intelligenza artificiale ogni sforzo cognitivo al fine di ottenere risposte usa e getta a domande che, fino a qualche tempo fa, avrebbero stuzzicato la nostra atavica voglia di capire al punto da spingerci a studiare. Fatalmente, una società che non è più disposta a sforzarsi di comprendere è una società che rinuncia a pensare: di rimando, essa agisce per interposta persona e risulta assai vulnerabile ai condizionamenti, alla disinformazione e alle ideologie più brutali… E basta dare un’occhiata alla deriva autoritaria che ha interessato la politica internazionale negli ultimi 15 anni per corroborare questa narrazione. Ammesso che lì fuori ci sia ancora qualcuno interessato a porre argine al rapido processo di decomposizione del comune intelletto, l’invito è quello di adottare un approccio meno passivo ai contenuti prodotti dai portali che frequentiamo: al di là del clickbating e di tutte quelle orrende scorciatoie utilizzate da pubblicisti disperati per captare l’attenzione dei passanti, vi sono molteplici realtà virtuose e tantissime penne che hanno molto da dire. Laddove possibile, riprendete dunque a cliccare e a leggere articoli e recensioni fino in fondo. In questo modo acquisirete maggior consapevolezza dei temi trattati e i vostri commenti, positivi o negativi che siano, acquisiranno un valore ben diverso da cui le dinamiche di comunicazione ed informazione trarranno insperato beneficio.