Perché la VR ha fallito, di nuovo?

VR Realtà Virtuale Editoriale

Sono oltre trent’anni che si parla della Realtà Virtuale come nuova frontiera dell’intrattenimento videoludico, eppure questo ipotetico game changer langue ancora oggi nel limbo delle rivoluzioni incompiute, annaspando tra promesse mai mantenute, esperimenti disastrosi e vacue speranze di riscatto. In un intervallo di tempo che nel mondo della tecnologia equivale a un’Era Geologica, aziende di ogni taglia hanno investito cifre ingenti nel tentativo di estrarre questa benedetta spada dalla roccia, finendo tuttavia per issare bandiera bianca proprio quando sembrava mancare poco per rompere la maledizione. Per quanto ci addolori costatarlo, l’unica certezza che abbiamo a riguardo mentre ci apprestiamo a vivere la seconda metà del 2025, continua a essere la stessa che ci restava tra le mani dopo ogni fallimento: manca poco. L’avevamo pensato nei primi mesi del 2017, quando apparve chiaro che PS VR non sarebbe stata in grado di reggere il peso delle rispettive ambizioni e lo stiamo pensando anche adesso, osservando quel mesto dito di polvere che ricopre lo chassis di PS VR2. Checché ne potranno dire le sirene di mercato in futuro e gli inguaribili ottimisti, è francamente improbabile che la “prossima volta” sarà quella buona: gli indizi raccolti in tutto questo tempo lascerebbero anzi supporre che questo matrimonio non s’abbia da fare…

Ma perché mai un’idea così valida sulla carta si è rivelata essere una tale chimera? E com’è possibile che nell’epoca in cui i nostri telescopi ritraggono in alta risoluzione il profilo di mondi abitabili ad anni luce di distanza, nessun visore riesca a rimpiazzare la combo Pad & TV?

Le spiegazioni a riguardo sono molteplici e abbracciano temi altrettanto variegati. Che si parli dell’esosità dei costi, della mancanza di equipaggiamenti standardizzati, del reiterato disinteresse del grande pubblico o di ostacoli di ordine sensoriale come motion sickness e fotosensibilità, la risposta più convincente resta anche quella più elementare: i videogame basati sulla VR non sono divertenti. Al netto di qualsiasi sforzo profuso da game designer e art director nel tentativo di attribuire adeguato spessore al gameplay, il divario che separa la qualità dell’esperienza di gioco tradizionale rispetto a quella con visore risulta, in altre parole, sovrapponibile alla distanza vigente tra la Terra e K2-18b. Centoventiquattro anni luce o giù di lì e questo al netto dei pochi titoli in grado di lasciar intravedere un flebile spiraglio di luce infondo al tunnel. Persino quando a scomodarsi è arrivata addirittura la Valve, abbiamo del resto finito per riconoscere che, superato il legittimo effetto wow dei primi minuti in game, sopraggiungessero limiti dinamici e criteri di interazione tanto instabili da compromettere il feedback di gioco. Ed è qui che casca l’asino cari signori, perché è proprio questa la carenza cui facciamo inconsciamente riferimento quando ci ripetiamo che manca poco. Il problema è che non stiamo parlando di un parametro sacrificabile, né di un elemento collaterale dell’esperienza videoludica: come ribadito più volte da tutti i più grandi game designer del circuito, il feedback di gioco è difatti l’unico fattore in grado di far davvero la differenza tra un titolo valido e uno mediocre.

Alla luce di questa rivelazione, il poco di cui sopra assume di colpo connotati ciclopici e la lezione che ne deriva non può che risultare severa. Se oltre trent’anni di ricerca e tutti gli strumenti sviluppati nel mentre dai colossi di una delle industrie più avveniristiche del mondo non sono bastati a sbrogliare l’enigma, il problema non è tecnologico, ma sistemico. Prendendo spunto dagli scivoloni registrati in passato da SEGA, Nintendo, Philips e Panasonic o volgendo lo sguardo ai relativi passi avanti effettuati più recentemente da Microsoft, Oculus VR e Sony, vi sarebbero pertanto i margini per concludere che videogiochi e VR potrebbero essere meno compatibili di quanto ci sia piaciuto pensare. Poco male, direbbe Archimede con una scrollata di spalle. Dopotutto la storia della scienza è zeppa di amori non corrisposti e connubi naufragati a pochi giorni dalle nozze, tanto che non sarà certo un ulteriore divorzio a fare scandalo.

Magari, un giorno la Realtà Virtuale riuscirà a reclamare uno spazio costante nella nostra quotidianità e, in altri contesti, iniziano già a delinearsi scenari intriganti. Allo stesso tempo dubitiamo seriamente che lo farà attraverso i videogame e non lo diciamo a cuor leggero perché, essendo cresciuti con Il Tagliaerbe e Strange Days, questa è una sconfitta che brucia da morire.

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