Benché non sia una pratica nuova, negli ultimi dieci anni abbiamo visto tantissimi Remake e Remastered di opere considerate storiche ma non solo, utilizzati per sondare il mercato o per migliorare quanto possibile grazie alle nuove tecnologie. Negli anni abbiamo avuto opere davvero valide, dal remake di Resident Evil 2 a Final Fantasy 7 (qui la recensione di Rebirth) mentre altre, hanno lasciato più dubbi che altro. Ma dopo quanto tempo dovrebbero uscire per avere successo? A svelarlo ci pensa uno studio.
Quando fare Remake e Remastered? La scienza ci dà una mano
Un esempio su tutti è The Last of Us Parte 1, arrivato dopo una buona rimasterizzazione uscita solo qualche anno prima e considerato un po’ prematuro secondo i fan e gli addetti ai lavori. Per non parlare poi delle voci su un remake di Horizon Zero Dawn, con l’originale uscito solamente nel 2017. Per cui, la domanda sorge spontanea: quando ha davvero senso fare un remake? Finalmente, potremmo avere una risposta scientifica.
Uno studio indetto da IDG Consulting e Strategic Game Consulting ha infatti indicato come periodo ideale dagli 11 ai 20 anni dalla prima release, che permetterebbe agli sviluppatori aggiunte significative e soprattutto un miglioramento sostanziale dei difetti originali.
Secondo i dati della ricerca, i remake di titoli usciti tra gli 11 e i 15 anni dopo l’uscita originale hanno avuto i migliori risultati di vendita, con il 70% di essi in grado di superare le due milioni di copie. Cosa che però è riuscita solo al 32% dei remake basati su opere dai 21 ai 25 anni fa.
E i titoli più recenti? Degli oltre 200 remake presi in esame, solo The Last of Us Parte 1 (che figura però tra i peggiori port su PC) e Odin Sphere: Leifthrasir sono usciti a meno di dieci anni dalla prima release e capaci di superare le due milioni di copie vendute.
In questo caso è lo stesso rapporto a suggerire come muoversi in questi casi: “Quando si cerca di rifare un gioco uscito da meno di dieci anni, gli sviluppatori dovrebbero determinare se i loro remake presenteranno un valore aggiunto sufficiente per i giocatori, giustificando il prezzo di acquisto completo del gioco. I fattori da considerare includono la fedeltà verso il gioco originale, adattamento, genere, concorrenti moderni e nuove tecnologie disponibili“.
Ma creare un remake di titoli con più anni alle spalle, non è semplice: “Al contrario, rifare un gioco uscito più di vent’anni fa comporta il rischio di affrontare una minore competitività rispetto alle controparti moderne e di essere posizionato come un gioco retrò, una categoria di nicchia. Sebbene questi giochi eccellano nell’attrarre la nostalgia e gli appassionati di giochi retrò, potrebbero avere difficoltà a competere“.
Nel 2023 abbiamo avuto un esempio di questo tipo, quel System Shock che però sta avendo buoni risultati, tanto da arrivare su console Sony e Microsoft il 21 maggio. Forse una ‘mosca bianca‘ ma non l’unica soluzione per trarre profitto da queste situazioni. Abbiamo infatti anche le remastered da tenere in considerazione, a volte necessarie e a volte, controverse.
Anche qui lo studio cerca di dare risposta, notando come esse siano più presenti a ogni salto generazionale. Inutile dire come GTA V e il già citato The Last of Us siano tra le remastered di maggior successo, con l’obiettivo di massimizzare l’accessibilità e la copertura di opere ancora rilevanti sul mercato. In questo caso però, le remastered di titoli più recenti hanno registrato vendite ben più significative rispetto alle controparti più datate, principalmente per questioni di gameplay: più infatti le meccaniche risultano ‘moderne‘ più è più semplice per il pubblico superare l’ostacolo del primo approccio. È per questo che per The Witcher ad esempio, si sta sviluppando un remake.
Fonte: GamesIndustry