Siamo già IA dipendenti?

Editoriale AI

Sebbene i primi studi sulle intelligenze artificiali risalgano alla prima metà del ‘900 e individui come informatici o videogiocatori abbiano potuto monitorarne l’evoluzione per decenni, il resto del mondo sembra aver scoperto questa risorsa soltanto un paio d’anni fa, quando i comuni TG e la stampa generalista ne hanno iniziato a parlare come se fosse piombata sulla Terra d’improvviso in sella a un meteorite.

Da quel dì fatale, uno strumento dal potenziale virtualmente illimitato è diventato rapidamente accessibile a chicchessia grazie al proliferare di piattaforme user friendly create ad hoc per monetizzare il trend… Il tutto mentre la gerontocrazia istituzionale rimaneva fatalmente a guardare, neanche si trattasse di un banalissimo cantiere cittadino. In assenza di uno straccio di giurisprudenza a tema o di qualche decreto che normasse l’impiego delle IA anche in forma temporanea, quello che la stragrande maggioranza degli umani sta trattando alla stregua di un giocattolo è andato via via insinuandosi nelle radici della nostra società, finendo per monopolizzarne intere aree a una velocità esponenzialmente maggiore di quella che occorse a Internet per stravolgere la storia della comunicazione.

Gli effetti di questo blitzkrieg sintetico vantano carattere trasversale e si estendono dalle scuole alle università, dalla TV al giornalismo di Rete, dal cinema ai nostri social network, per poi confluire nella narrazione politica delle crisi mondiali. In poco più di 700 giorni la nostra percezione dell’esistenza è così cambiata bruscamente, trasformando la realtà in un’enorme zona grigia entro i cui confini tutto è verosimile, ma nulla è oggettivo. L’aspetto più inquietante del fenomeno non è tuttavia legato al solo rischio di ritrovarsi a vivere presto in un mondo in cui potremmo far fatica a distinguere esseri umani ed eventi dalle rispettive rielaborazioni virtuali: allo stato attuale, il problema maggiore è infatti costituito dal modo in cui abbiamo scelto di relazionarci allo strumento. Piuttosto che impiegarlo come supporto complementare alle nostre ricerche, alle nostre creazioni e al nostro lavoro, la stragrande maggioranza di noi preferisce delegare alle IA ogni sforzo cognitivo di sorta, ignorando le conseguenze che ciò possa comportare alla lunga sulle capacità intellettive della specie. Pur volendo mettere da parte ogni fosco scenario delineato da tanti scrittori che seppero prevedere un conflitto tra uomo e macchina, riteniamo che abbandonarsi all’indolenza mentre un sistema computerizzato continui quotidianamente ad apprendere nuove informazioni costituisca un azzardo che l’essere umano non possa permettersi. E non perché ciò potrebbe determinare un downgrade della nostra posizione sulla catena alimentare planetaria, bensì a causa di criticità molto più tangibili come ad esempio l’entità della crisi occupazionale che il sistemico abuso di IA potrebbe comportare. Con una popolazione di 8.13 miliardi di unità attualmente in giro sul mondo e la prospettiva di sfondare la soglia dei 10 miliardi entro il 2080, automatizzare il settore del lavoro spingerebbe l’economia sull’orlo di un collasso sistemico tale da compromettere lo stesso concetto di civiltà. Esagerazioni catastrofiste, dite? Magari sì; nel dubbio, sarebbe comunque preferibile evitare di scoprirlo! Nel frattempo, un forte segnale di allarme proviene proprio dalla nostra beneamata industria videoludica. I rappresentanti dei gruppi parasindacali sorti di recente negli USA a tutela dei professionisti ritrovatisi di punto in bianco licenziati per ‘far spazio‘ a ChatGPT, ci tengono difatti a sottolineare che, a questo ritmo, migliaia di game designer, level designer, sceneggiatori e art director verranno rimpiazzati dalle IA entro il prossimo quinquennio, con conseguenze nefaste sugli equilibri del rispettivo mercato. Posto come assunto che gli sviluppatori di titoli come High on Life, Foamstars, inZOI e persino Call of Duty: Black Ops 6 abbiano già sfruttato questa tecnologia per l’elaborazione di scenari, filmati o dialoghi, un intervento di regolamentazione dell’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale si rende, a questo punto, imperativo. In tal senso, è confortante apprendere che major come Epic Games, Blizzard Entertainment, Naughty Dog, Bethesda e la tanto vituperata Ubisoft abbiano già avviato un protocollo di autoregolamentazione a riguardo. Eppure, non si può pensare che bastino delle iniziative private ad arginare la problematica, specialmente nel momento in cui molte altre realtà imprenditoriali del settore non si siano impegnate a fare lo stesso. Sarà pertanto cruciale che i vertici politici dei Paesi più industrializzati e quelli in via di sviluppo introducano al più presto leggi chiare che stabiliscano in modo inequivocabile limiti di applicazione condivisi ad ogni latitudine, pena l’imponderabile. In assenza di quest’intervento, perderemmo l’ultima chance che ci resta per preservare un minimo di controllo sui comandi di un treno che viaggia a velocità supersonica verso orizzonti in cui il ruolo dell’Uomo sulla Terra potrebbe essere meno rilevante di quanto non lo sia già adesso.

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