La Genesi del DOOM Slayer – Speciale

DOOM The Dark Ages id software Cover

Se la recensione di DOOM: The Dark Ages vi ha soddisfatto e volete qualche aneddoto interessante in più in vista della sua pubblicazione, sappiate che qua su GameTime non abbiamo badato alle parole. Anzi, ne abbiamo a sufficienza anche per raccontare cosa aspettarvi davvero sotto il profilo introspettivo dell’iconico DOOM Slayer.

Quando si parla d’introspezione e lo si collega inevitabilmente allo Slayer, s’incorre come al solito in una stranissima correlazione fra due parole incompatibili l’una con l’altra. Eppure, DOOM: The Dark Ages spiega in modo preciso questo collegamento unico nel suo genere, presentando per la prima volta il passato del DOOM Slayer. In DOOM Eternal, questo collegamento era solo accennato: se ne parlava rapidamente, non c’era un’effettiva profondità e tutto si limitava allo spara spara che conosciamo ben bene.

Con DOOM: The Dark Ages, invece, la situazione cambia in modo improvviso. Si configura intanto come qualcosa di davvero inedito e piacevole, arricchito da un passato finalmente chiaro, ma soprattutto dalle reminiscenze – e ve ne accorgerete – di DOOM 2016. Quando è stata pubblicata la DOOM+DOOM 2 comprendente di SIGIL e SIGIL 2, la prima cosa che ho pensato è stata che id Software avrebbe curato sotto ogni punto di vista qualsiasi aspetto del suo videogioco di punta. Dopo averlo giocato assieme a Kristian nel corso degli ultimi giorni, mi sono reso conto che mai come ora è stato approfondito l’introspezione dello Slayer.

Dal sangue di allora al presente

DOOM: The Dark Ages è una genesi, è una nuova traccia dell’album di morte dello Slayer, è il suo lascito per il passato ma è ancora la parentesi del futuro, a sua volta legata in modo indissolubile alle tante soluzioni al suo interno. Nella recensione, viene sottolineata l’importanza dello scudo, che si tramuta in un’arma vera e propria quando ce n’è bisogno.

Nelle tantissime cutscene presenti, DOOM: The Dark Ages spiega al meglio la situazione narrativa. Non potendo fare spoiler per non rovinare la lettura e l’esperienza ai giocatori, questo pezzo esiste per formulare un pensiero che vada ben oltre, ora, al classico spara spara. Perché ora non si tratta solamente di questo ed è un bene che sia così. Ma sappiatelo, anche se tratterete DOOM: The Dark Ages come un videogioco di questo genere, non gli farete affatto un torto. È l’estasi di id Software all’ennesima potenza che fuoriesce da ogni sparatoria o arto mozzato. È un videogioco che segna, in modo deciso, il futuro del franchise. Ed è la prova inconfutabile di quanto il parry ormai sia diventata una meccanica trascendentale per chiunque, soprattutto nel game design di oggi.

Il passato, il presente e il futuro dello Slayer

Non ero ancora nato quando il primo, indimenticabile DOOM venne pubblicato da un team che in quegli anni si stava affacciando al mercato videoludico. Immaginate un po’ com’è passare da Marte, da un’ambientazione sci-fi in tutto e per tutto, alla Terra e dopo a un medioevo. Il team statunitense, con DOOM: The Dark Ages, esplora non solo il controllo che un potere ancestrale aveva nei confronti dello Slayer, considerato da sempre un’arma. Noi stessi, ancora oggi, la vediamo in questo modo. Un energumeno capace di triturare chiunque a colpi di heavy metal mentre beve un cappuccino, infrangendo il record dello smembramento a cinquanta chilometri orari.

Ebbene, c’è un’umanità in tutto questo. Non posso parlarne, ma c’è, ed è sul finale dell’avventura. Ma nelle vicissitudini raccontate dal team, invece qua c’è molto altro, vale a dire l’intenzione di dare un contesto a cos’è accaduto prima degli eventi di DOOM Eternal e di The Ancient Gods. Nei DLC di DOOM Eternal, infatti, si esplora in modo approfondito la lore dell’intero titolo. In DOOM: The Dark Ages viene mostrato re Novik, un sovrano che conosce la potenza dello Slayer, considerandolo unicamente una risorsa.

Quando si parla di genesi, è bene intercedere sul termine. Significa “Nascita” o, se proprio vogliamo approfondirla a dovere, “Trasformazione in qualcosa di nuovo”. Il DOOM Slayer è controllato dai Maykr, delle creature abbiette sotto il controllo di Kreed, elevato a un vasto rango ecclesiastico. Per capirci, il DOOM Slayer è considerato un salvatore vero e proprio in questo tessuto narrativo e rappresenta la sola arma per impedire alle Sentinelle di soccombere.

Per tutto il racconto, viene per l’appunto narrato di come egli cambi radicalmente e cerchi costantemente il suo libero arbitrio. Se pensavate che in passato il DOOM Slayer fosse libero di scorrazzare da una parte all’altra come se fosse niente, vi siete sbagliati di grosso.

Con DOOM: The Dark Ages questa mancanza viene debitamente riempita e ben supportata. Il racconto è dunque migliore, spalmato meglio e introduce degli scenari incredibili, inediti, pieni zeppi di tanti riferimenti alla cristianità ma soprattutto al legame con il passato del franchise. In questa nuova trilogia, che, a mio vedere, è tutto fuorché conclusa, viene approfondita una figura nel modo migliore. Lo si fa attraverso il game design, facendo comprendere come si sia passati dallo spara spara classico ai balzi e alle acrobazie di DOOM: Eternal, fino ad arrivare infine allo smembramento definitivo in DOOM: The Dark Ages.

La grossa novità attuale è che questo nuovo capitolo ha tutto il necessario per arrivare a essere considerato un reale capolavoro. Ha una storia intensa che non perde di ritmo, che porta in un vortice emozionale costante e al cardiopalma, e ha la grande capacità di mostrare delle soluzioni nuove di game design con furbizia e tanta passione. DOOM: The Dark Ages farà scuola.

Evviva DOOM.