Rain

I videogiochi più famosi di Fumito Ueda, Ico e Shadow of the Colossus, cambiarono completamente le prospettive del mondo videoludico, dimostrando che anche un videogioco può trasmettere emozioni e, perché no, persino commuovere. Oggi, lo spirito di quei due capolavori rivive in Rain, ultimo titolo di Japan Studio che rifugge i clamori dell’industria mainstream e si rivolge come un’esperienza che punta a colpire il cuore, ancora prima che stimolare i nostri riflessi.

Del titolo di Ueda-san, Rain riprende il sottile minimalismo della premessa. Il gioco si apre come un delicato libro illustrato, raccontandoci la malinconica vicenda di un bambino invisibile, costretto a vivere in un mondo che non gli appartiene. L’unica via di fuga da questo sortilegio è la pioggia, che battendo sul corpo del protagonista lo renderà visibile, permettendogli di partire alla conquista del cuore di una bambina, invisibile come lui.
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Tutta l’avventura è comunque portata avanti dall’affannosa ricerca della bambina, che comparirà ripetutamente all’interno dei livelli.

Narrazione e gameplay si intrecciano e si muovono quindi di pari passo, dandosi sponda l’un l’altro. Il battere incessante della pioggia, grande protagonista, diventa infatti la meccanica centrale di quello che è un ibrido tra avventura grafica e platform, esattamente come Ico, nonché la chiave per risolvere i numerosi puzzle ambientali che dividono il bambino dalla bambina. Grazie a questa impalpabile alleata, il protagonista potrà infatti rendersi visibile o invisibile a piacimento, ed evitare così lo sguardo dei pericolosi nemici che popolano i livelli. In effetti, l’etichetta stealth ben si presta al tipo di esperienza proposta, anche se, a differenza di Solid Snake di Metal Gear Solid, non saranno le ombre il nostro rifugio, bensì tettoie e paraventi, grazie ai quali potremo ripararci dalla pioggia e, di conseguenza, non rivelarci ai nostri avversari. Per la maggior parte del tempo, il giocatore sarà dunque chiamato a ragionare su quale sia il percorso migliore per evitare il contatto diretto con i mostri.
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Rain non riesce mai veramente a fuoriuscire dalla limitante identità di avventura “indie” dalla grafica deliziosa.

Sostanzialmente, tutte e quattro le ore necessarie per terminarlo offriranno una variazione sul tema di questa struttura, ulteriormente variata a metà del suo fluire da un elemento cooperativo, prodotto da un colpo di scena significativo. Tutta l’avventura è comunque portata avanti dall’affannosa ricerca della bambina, che comparirà ripetutamente all’interno dei livelli. La vedremo correre in lontananza, e ovviamente saremo incapaci di comunicare con lei. Questa tensione animerà e legherà tra loro gli 8 livelli che compongono Rain, che sembra quasi voler raccontare la storia di due persone destinate a non raggiungersi mai: spesso e volentieri, il bambino salverà la bambina che, ignara di tutto, si allontanerà un attimo prima che il giocatore sia in grado di raggiungerla. Il gioco è persino più avaro di Ico nel dispensare indizi ai giocatori, che, di fronte al mutismo pressoché totale dei protagonisti, non potranno che domandarsi cosa stia succedendo sullo schermo. In realtà, questo è proprio uno degli aspetti più affascinanti dell’avventura, che lascia colmare il vuoto generale dell’ambientazione con la nostra fantasia interpretativa, esattamente come se si trattasse di una favola.
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Il gioco è persino più avaro di Ico nel dispensare indizi ai giocatori.

La scelta, per quanto azzeccata, si rivela comunque a doppio taglio, perché non permette mai veramente a Rain di spiccare veramente il volo e aspirare a raccontare qualcosa di più ampio. Se Ico, nonostante tutto il suo ermetismo, nascondeva al suo interno più strati narrativi e raccontava alla fine una vicenda molto più grande per ambizioni e svolgimento, Rain non riesce mai veramente a fuoriuscire dalla limitante identità di avventura “indie” dalla grafica deliziosa. La sensazione che lo stile superi la sostanza in Rain è palpabile, in più di un momento. Il lavoro di Japan Studio rimane comunque un piccolo quadretto idilliaco, da sorbirsi lentamente e senza troppe pretese, come un buon tè durante una piovosa domenica pomeriggio.