Dopo il successo di critica e di pubblico di It Takes Two, titolo cooperativo che finì per agguantare persino il GOTY, era solo questione di tempo prima che Josef Fares e il suo team provassero a bissare ciò che di buono avevano per le mani con un nuovo esperimento sulla stessa falsariga. È normalissimo quindi che si aspettasse questo Split Fiction con estrema curiosità e ben più di un briciolo di speranza: il suo predecessore, dopotutto, aveva alzato l’asticella delle esperienze da divino verso limiti mai visti prima, e Split Fiction – pur non conquistando la perfezione assoluta – riesce in quasi tutto ciò che propone, ugualmente e anche più del suo predecessore.
Partiamo dal presupposto che i titoli di questo team di sviluppo hanno sempre avuto una forte componente cooperativa, pur spaziando per i generi più disparati. A Way Out era quasi un puzzle game, mentre It Takes Two elevava il lato giocoso verso nuove vette. Split Fiction, sotto questo aspetto, osa magari un po’ meno del suo predecessore e segue la medesima strada senza voler stravolgere la formula, ma lo fa con una competenza, una sicurezza, una fantasia e una densità da fare assolutamente spavento.
Se alla base si può dire che Split Fiction sia un action adventure con enigmi ambientali sparsi qui e lì, la verità è che il nuovo gioco di Fares si lancia in così tante vicende e tipologie di gameplay che è quasi impossibile rinchiuderlo all’interno di un solo genere. Inversioni di gravità, platforming, fughe rocambolesche, fasi di volo, sezioni da twin stick shooter, fasi di guida, scene bidimensionali, scene tridimensionali: ogni mezz’ora c’è un’ottima scusa per cambiare completamente le carte in tavola e dover reimparare da zero le regole del livello appena iniziato. Non tutte le idee sono sviluppate alla perfezione (e ci mancherebbe altro, con una quantità simile di carte diverse sul tavolo), ma la sua capacità di cambiare registro e lasciare a bocca aperta ogni tre per due è semplicemente encomiabile.
Split Fiction ci mette nei panni di Mio e Zoe, due scrittrici fallite – e, inutile a dirlo, con caratteri diametralmente opposti – finalmente alla svolta delle loro vite. Peccato che la chiamata della malefica multinazionale di turno sia solo una truffa, e che i capoccioni dal ghigno sinistro avessero raggruppato scrittori di ogni genere per rubare loro ogni fantasia e idea senza versare una singola goccia di sudore. Ficcate in un macchinario ancora sperimentale, le due protagoniste possono quindi vivere in prima persona ciò che precedentemente potevano solo mettere nero su bianco, e visitare così i mondi partoriti dalle loro menti come se fossero realmente lì. Zoe ama il fantasy medievale, mentre Mio è più tipa da cyberpunk e fantascienza. In questo modo, il gioco può saltare continuamente tra due contesti differenti tanto nel gameplay quanto nell’atmosfera, con la narrazione che – almeno all’inizio- si presenta solo come un veloce pretesto per buttarci in una sequela di situazioni mozzafiato senza mai neanche provare a farsi prendere sul serio.
Ogni sezione vede affidare a Mio e Zoe strumenti e poteri differenti: se una può distruggere, l’altra può spostare oggetti. Se una può aggrapparsi, l’altra può nuotare, e così via. È in questo modo che il gioco spinge la creatività del giocatore a trovare un punto d’incontro tra due personaggi utili in situazioni così differenti, ed è quasi un peccato capitale anticiparvi troppo delle varie idee che mette in campo. Ci sono alcuni punti, tra l’altro, che rimangono impressi non solo per come mescola intelligentemente le azioni dei due giocatori, ma anche già solo per la messinscena. Le sequenze d’azione – e stavolta ce ne sono molte di più – non hanno nulla da invidiare ai migliori blockbuster, mentre alcune inquadrature sono così ricercate che meriterebbero l’affissione in un museo. Anche qui non vorremmo anticiparvi troppo, ma tanto per restare in piccolissimi spoiler delle primissime ore, c’è una camminata a testa in giù sullo sfondo di una città futuristica che, per colori e colonna sonora, rischia davvero di essere tra i momenti più memorabili degli ultimi anni.
Con la scusa che il macchinario preleva idee anche all’infuori dal genere preferito dalle autrici, ecco che quindi finiamo per essere sballottolati anche in mini-storie completamente slegate dai due generi principali. Così come col fantasy e lo sci-fi, anche queste brevi parentesi divertono alla grande e offrono occasioni per tirare il fiato allontanandosi dalle meccaniche già conosciute, allo stesso tempo citando tanti altri capisaldi della cultura nerd. A volte, il divertimento non è neanche solo risolvere i livelli, ma cogliere le ispirazioni alla base di ognuno di loro, da Assassin’s Creed a Dune, da Blade Runner a Shadow of the Colossus.
Il comparto tecnico regge anche le scene più complesse con un framerate assurdamente granitico. E, sebbene dalle distanze ravvicinate sia palese che non parliamo della definizione grafica migliore sul mercato, il colpo d’occhio da lontano è eccellente e fluido persino nelle scene più concitate. La varietà, la profondità e il divertimento sono assicurati, e non fosse per un paio di passi falsi staremmo davvero parlando di un capolavoro senza difetti. Ad esempio, il continuo citare opere e stereotipi finisce, a volta, per renderlo uno stereotipo a sua volta. Non è un enorme problema perché, sul lungo termine, trova comunque abbastanza idee da differenziarsi, ma la base resta sempre un pelo derivativa.
L’altro problema, un po’ più grande, è invece il bilanciamento della difficoltà. Se diamo per scontato che Split Fiction sia un gioco diretto alle famiglie e anche ai più giovani (e non vediamo perché no, visti i toni e le tematiche della storia), è altrettanto vero che questo è sicuramente il prodotto più difficile che Hazelight abbia mai partorito. E, secondo noi, neanche volutamente. I particellari e gli effetti speciali di molte scene action rendono alcune sezioni di difficile lettura e anche un po’ confuse, con continue morti improvvise che vengono mitigate solo dai tantissimi checkpoint. Nel menu è possibile abbassare i danni ricevuti dalla sezione dell’accessibilità, ma sembra quasi un voler nascondere la polvere sotto al tappeto. C’è persino la possibilità di saltare una sezione chiedendo al gioco di portarvi più avanti in automatico, per dire. Ed è emblematico perché anche noi, giocatori navigati, siamo incappati in sequenze effettivamente toste. Alla fine della fiera è una minuzia, ma comunque interessante da far notare.
Con sorpresa di nessuno, pur con un paio di inciampi curiosi, Split Fiction si conferma essere esattamente ciò che il seguito di It Takes Two doveva essere: un’avventura cooperativa per due giocatori fantasiosa, densa di momenti memorabili, bella da vedere, divertente, varia e geniale ogni tre per due. Una lettera d’amore a quelle campagne belle e piene di momenti spaccamascella di cui il mercato aveva bisogno, tra un Monster Hunter e l’ennesimo gioco online competitivo. Tra l’altro, l’acquisto del gioco regala anche un pass per permettere a un vostro amico a scelta di unirsi a voi senza sborsare un solo centesimo. Un altro candidato al Game of the Year, insomma, in un anno che già da ora si prospetta essere stracolmo di gemme.