The Stanley Parable

Stanley è un uomo comune, anche anonimo se vogliamo, un impiegato che passa le sue giornate a compiere operazioni macchinose e ripetitive davanti al PC. Tutte le sue giornate si susseguono uguali senza intoppi di sorta, fino a quando un giorno non si trova a guardarsi intorno per scoprire che il suo ufficio è completamente deserto. Cosa è successo? Dove sono andati i suoi colleghi? Con queste parole (o quasi) verrete introdotti dalla voce narrante alla strana avventura di Stanley.

È difficile parlare di tutte quelle trovate che rendono The Stanley Parable la genialata ironica che è alla fine.

A una prima impressione, tutto sembra essere perfettamente normale e allo stesso tempo incredibilmente surreale: stanze enormi piene di tavoli e relative scartoffie, PC lasciati accesi e archivi in disordine, ma nessuno nei dintorni a cui chiedere alcunché. Al giocatore e a Stanley non resta che procedere per andare in fondo alla faccenda. Le azioni che si possono eseguire non sono poi tante, anzi, si tratterà principalmente di camminare, al massimo di premere qualche tasto, ma il coinvolgimento è palpabile da subito.
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Ad accompagnarvi nella vostra operazione esplorativa ci sarà la voce narrante di cui sopra, sempre presente e pronta a dirvi dove dirigervi, ma qui sta il bello del gioco. Perché darle retta? È giusto fare quello che ci impone di fare? A conti fatti, nonostante le apparenti imposizioni, nessuno ci dice che dobbiamo obbligatoriamente prendere la porta a sinistra piuttosto che quella a destra, possiamo (almeno virtualmente) fare quello che vogliamo. Il punto di forza del gioco è proprio sul voler mettere davanti agli occhi del giocatore questo punto fondamentale, fargli capire che, nonostante gli apparenti binari che gli vengono imposti, ha comunque un certo grado di libertà. Libertà che in The Stanley Parable non si manifesta con chissà quale grande mondo da esplorare o con un numero spropositato di missioni da compiere. Basta un anonimo ufficio.
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Il punto di forza del gioco è proprio sul voler mettere davanti agli occhi del giocatore questo punto fondamentale.

Dopo questa doverosa premessa, è difficile parlare di tutte quelle trovate che rendono The Stanley Parable la genialata ironica che è alla fine. Per fare un esempio, avete mai pensato a cosa succederebbe se un videogioco “ricordasse” le vostre azioni e programmasse le vostre future partite di conseguenza? No, non sto parlando di ribilanciamenti della difficoltà o cose del genere, quanto più a vere e proprie ripercussioni. Avete disubbidito all’onnipresente narratore? Vi siete avventurati in percorsi non previsti? Magari lo avete fatto più e più volte per puro spirito di contraddizione… Bene, sappiate che il gioco terrà conto di tutte queste cose e si comporterà di conseguenza. Come già detto, è davvero difficile raccontare in modo esaustivo questo titolo senza rovinare l’esperienza ai potenziali giocatori.
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Avete mai pensato a cosa succederebbe se un videogioco “ricordasse” le vostre azioni e programmasse le vostre future partite di conseguenza?

The Stanley Parable, infatti, appartiene a quella particolare fetta di titoli che si giocano solo per il gusto di giocarli, senza prefissarsi uno scopo particolare. Il dover scoprire cosa è successo in ufficio alla fin fine è solo un pretesto per far muovere il giocatore all’azione, ma non è lo scopo ultimo del gioco, perché The Stanley Parable uno scopo non ce l’ha. È un gioco dall’apparenza seriosa ma che si presta all’autoironia, un gioco consapevole di essere tale e che non fa nulla per nasconderlo al giocatore. Tenendo tutto ciò in conto ed entrando nei dettagli tecnici, va spezzata una lancia in favore del titolo anche dal punto di vista della giocabilità e della longevità. Come anticipato, The Stanley Parable non è incredibilmente complesso, non fa della sfida il suo cavallo di battaglia, così come non è particolarmente lungo da portare a termine.

The Stanley Parable appartiene a quella particolare fetta di titoli che si giocano solo per il gusto di giocarli, senza prefissarsi uno scopo particolare.

O meglio, non lo è se vi limitate a raggiungere solo uno dei possibili “finali”. Ogni singolo percorso che decidete di intraprendere non richiede più di una ventina di minuti per essere portato a termine, ma se il gioco riesce a conquistarvi, non riuscirete più a mollarlo, perché la voglia di vedere fino a che punto si spinge la sua ingegnosa follia vi farà passare tutto il resto in secondo piano.
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Alla fine, però, va anche ammesso che proprio questa particolarità, che rende The Stanley Parable un gioco difficile anche solo da descrivere, è il suo più grande limite. Del resto è comprensibile, non tutti sono disposti a tuffarsi quasi alla cieca in un’esperienza di cui a malapena riescono a identificare il genere di appartenenza. Non è un titolo che attira per gli effetti speciali e la grafica mirabolante (che esattamente mirabolante non è) o il comparto audio, che nonostante tutto fa il suo onesto lavoro. È un gioco per curiosi, per tutti quelli che hanno voglia di fare un’esperienza nuova, per tutti quelli che, come Stanley, sono disposti ad allontanarsi dai sentieri battuti per trovare qualcosa di diverso, almeno, nel nostro caso, per quanto riguarda i videogiochi.