Fatal Fury City of the Wolves: In compagnia dei lupi – Recensione PS5

Fatal Fury City of the Wolves Recensione PS5 (1)

Sono passati ventisei anni dall’ultima volta in cui mettemmo le mani su un nuovo capitolo della saga di Fatal Fury: quando Mark of the Wolves debuttò nelle poche sala giochi rimaste dopo l’avvento della Playstation, il mondo dei videogame guardava con trepidazione al prossimo debutto della PS2 e i picchiaduro 2D non se la passavano granché bene. La stessa SNK viveva gli ultimi mesi della sua Prima Era, cui sarebbero seguiti anni di forte incertezza, segnati da vari rebranding e prodotti di qualità altalenante. Passata sotto il controllo della MiSK Foundation dello sceicco Mohammed bin Salman Al Saud nell’ambito di un’acquisizione avviata nel 2020 e completatasi nel 2022, la società ha tuttavia ritrovato la stabilità economica e l’entusiasmo necessari al rilancio della leggendaria saga che osò contendere a Street Fighter i vertici della galassia beat ’em up.

Undicesima iterazione della serie, Fatal Fury: City of the Wolves ci riporterà dritti dritti in quel di South Town con lo scopo di dare degno seguito agli eventi narrati dal suo antico predecessore e accogliere, in parallelo, uno stuolo di nuovi fan: per riuscire nell’impresa, SNK si affiderà a una robusta impostazione bidimensionale, al medesimo team che ha fatto la recente fortuna degli ultimi due episodi di The King of Fighters e, ovviamente, al ritorno in scena dei suoi storici protagonisti… Ai quali si sono recentemente aggregati due improbabili imbucati.

Bentornati a South Town!

Inutile cercare di atteggiarsi a duri: tornare tra le pittoresche strade di questa stravagante versione di Hong Kong è stato come essere teletrasportati in una località di villeggiatura in cui avevamo trascorso le estati di una spensierata adolescenza. Sebbene il tipico cinismo dell’adulto continuava a sussurrarci all’orecchio che, dietro la South Town del 2025 si nascondesse soltanto una sorniona Dubai camuffata da ricordo infantile, la lacrimuccia non si è fatta attendere più di tanto. Per la gioia degli appassionati, molti dei quali avranno ormai scavallato la soglia dei quaranta, City of the Wolves non è comunque una bieca operazione nostalgia. Al di là degli ammiccamenti e delle citazioni rivolte ai fasti passati, abbiamo difatti trovato un picchiaduro tanto solido nel gameplay quanto moderno nel concept che, in barba a un budget inferiore a quello vantato dai suoi diretti concorrenti, dimostra di avere le carte in regola per reclamare il suo legittimo spazio ai vertici della categoria.

Ancor prima di emergere sotto i profili tecnico e strutturale, il ruspante carattere del nuovo Fatal Fury si manifesta in un’equilibrata ripartizione delle sezioni online e in singolo: all’implemento di ogni modalità multiplayer che ci si aspetterebbe di trovare in un prodotto contemporaneo, vanno in tal senso a sommarsi tre ampie sezioni riservate ai picchiatori solitari, le quali contribuiranno a estendere in termini significativi la longevità dell’intera esperienza. Se l’opzione “Missione” ci vedrà impegnati a vincere una serie di incontri a stipulazione speciale e la modalità “Arcade” ci permetterà di vivere le curiose vicende personali di ogni personaggio attraverso la consueta escalation di scontri, è però nell’ambito di “Episodes of South Town” che City of the Wolves trova il suo fulcro ideale. Rilettura più snella e lineare del World Tour apprezzato in Street Fighter VI, questa turbolenta escursione tra i quartieri di South Town ne riprende la componente ruolistica per declinarla in una sequela più serrata di scazzottate con gli sgherri che li presidiano. Accumulando vittorie e risolvendo attraverso di esse problemi di ogni sorta, il lottatore selezionato vedrà accrescere il proprio potenziale così da favorire lo sviluppo di vicende per lo più demenziali, in cui non mancheranno siparietti legati al suo personale background. In assenza di una componente free roaming, il flusso di gioco di Episodes of South Town segue un iter piuttosto schematico in cui la narrazione viene purtroppo relegata a una serie di vignette tese a descrivere l’evoluzione del plot: ne deriva un’esperienza gradevole, ma priva di quello spessore che aveva favorito al World Tour di Street Fighter VI i connotati da videogame a sé stante. Qualora gli sviluppatori dovessero ampliarne la formula attraverso il periodico rilascio di contenuti supplementari, l’iniziativa potrebbe senz’altro assumere toni più consistenti. Fino ad allora, avremo comunque di che accontentarci.

Lupus in fabula

Per quanto possa mostrarsi ricco il ventaglio di opzioni messe a nostra disposizione dai ragazzi del KOF Team, la vera essenza di City of the Wolves emerge, in ogni caso, nella vibrante dinamica degli scontri: tutt’altro che appesantito dagli anni accumulati sul groppone, il vecchio lupo di South Town non ha infatti perso il suo prezioso smalto. Oggi come allora, il combat system predilige un approccio alquanto aggressivo, in cui riflessi pronti, rapidità d’esecuzione e gestione delle combo rivestiranno un ruolo pressoché centrale. Nel riuscito tentativo di irrobustire la componente strategica dei combattimenti, si è parimenti scelto di implementare diversi fattori in grado di alterare in tempo reale le performance dei lottatori: mentre l’S.P.G. (“Selective Potential Gear“) ci consentirà di stabilire un intervallo di tempo entro il quale sarà possibile usufruire di attacchi potenziati, la variabile “Overheat” andrà invece a impattare negativamente su mobilità e vulnerabilità del nostro alter ego ogni qualvolta dovessimo abusare di colpi speciali. Da segnalare, in parallelo, il ritorno di stage a doppio asse prospettico nell’ambito dei quali i contendenti potranno sfruttare la profondità dello scenario per aggirare o sorprendere l’avversario. Introdotto nel 1991 dal primo, leggendario capitolo della serie e divenuto poi un tratto distintivo di tutta la saga, quest’artifizio puntava a simulare una tridimensionalità che i picchiaduro d’un tempo non avrebbero potuto altrimenti sfoggiare e costituiva, proprio per questo motivo, una caratteristica unica. Oggi come oggi, detta soluzione ha tuttavia perso la sua ragion d’essere e presenta, di conseguenza, un valore più nostalgico che effettivo.

In linea generale, possiamo affermare che chiunque abbia apprezzato gli ultimi due capitoli dell’epopea di The King of Fighters non faticherà a dare subito del tu al gameplay di City of the Wolves, mentre giocatori provenienti da altri lidi potrebbero dover superare una breve fase di adattamento. Grazie all’immediatezza del sistema di controllo e alla straordinaria reattività dei comandi, questo processo risulterà ad ogni modo scorrevole, specialmente nel caso in cui si scelga di iniziare il proprio viaggio dalla modalità Episodes of South Town. Viceversa, la curva di apprendimento potrebbe risultare più ostica: se la giungla online già pullula di utenti particolarmente skillati, la IA della modalità Arcade non sarà di certo più indulgente. Come accade ormai di sovente quando si ha a che fare con un picchiaduro fresco di Day One, attualmente è inoltre possibile rilevare alcuni squilibri nella generale efficacia dei combattenti inclusi nel roster. Per comprendere meglio a cosa alludiamo aspettate di incontrare Terry Bogard, Tizoc o Mai Shiranui sul vostro cammino. Fortunatamente, le prime patch sono già in arrivo, pertanto è ragionevole pensare che ogni spigolo verrà levigato a breve.

Stile da vendere

Sotto il profilo prettamente tecnico, City of the Wolves spinge le caratteristiche di titoli pregressi come The King of Fighter XV a un nuovo livello di prestanza. Restando fedeli a quello stile fumettistico che è diventato un po’ il trademark della nuova SNK, gli sviluppatori hanno puntato sull’impiego di modelli poligonali di dimensioni maggiori, così da esaltare l’ottimo lavoro svolto in ottica character design. Animati con cura e un certo gusto coreografico, i lottatori interagiscono in maniera credibile, sfoderando un’espressività fuori dal comune sia quando i loro colpi vanno a segno, sia quando c’è da incassare. Altrettanto spettacolari risultano poi le esecuzioni di attacchi e manovre speciali, le quali vengono puntualmente enfatizzate da una ricca effettistica. Gran parte degli aggettivi utilizzati finora può essere utilizzata anche per quanto concerne le arene di background agli scontri: ben caratterizzati e spesso forieri di ricordi che credevamo aver perso, i fondali potranno occasionalmente apparire un po’ essenziali, ma delineano in modo impeccabile il profilo di una location eccentrica come South Town.

In controtendenza con quanto appena affermato, notizie meno esaltanti giungono invece da un comparto sonoro di natura ambivalente, in cui un doppiaggio decisamente brioso non trova adeguata corrispondenza in ambito musicale. Giusto in proposito, ci saremmo aspettati di riascoltare alcuni tra i temi che avevano fatto la storia della saga, ma abbiamo dovuto accontentarci di sottofondi ben arrangiati, ma prevalentemente anonimi. Poco male diranno i più, ma il fascino dell’amarcord non consta di sole immagini.

Ospiti indesiderati?

Prima di passare al verdetto, dobbiamo chiaramente fare un cenno al famoso elefante nella stanza, vale a dire l’inclusione di Cristiano Ronaldo e del DJ Salvatore Ganacci nel rooster di combattenti. Sebbene, in termini pratici, la loro presenza non costituisca chissà quale problema, una cospicua fetta di pubblico non sembra aver in effetti aver gradito la sorpresa. Sebbene il tutto possa risultare apparentemente incomprensibile va tuttavia specificato che, almeno a livello di marketing, questa scelta un senso ce l’abbia eccome: oltre a possedere le quote di maggioranza della SNK, il succitato Mohammed bin Salman Al Saud sarebbe anche il proprietario dell’etichetta musicale per cui incide Ganacci, nonché dell’Al Nassr, squadra del campionato di calcio saudita in cui milita tuttora CR7. In base alle stime effettuate dai contabili al servizio della compagnia, questi ‘ospiti indesiderati‘ potrebbero assicurare a Fatal Fury: City of the Wolves maggior visibilità in tutto il medio oriente, incrementando di almeno il 40% le proiezioni di vendita sul territorio. Di certo, l’intera operazione non passerà alla storia per la sua eleganza, ma come dice il vecchio saggio “pecunia non olet“… E a chi proprio non riesce a tollerare l’intrusione del fenomeno portoghese suggeriamo di guardare il lato positivo della cosa: quale altro picchiaduro vi offrirà mai l’opportunità di riempire di botte Mr. Siuum sfruttando oltre dodici diversi tipi di arti marziali? Ecco. E allora lunga vita allo sceicco: attendiamo fiduciosi il DLC di Lebron James!

Missione compiuta

Riportare in strada una serie rimasta ai box per ventisei anni non è impresa da poco: il rischio di deludere i veterani e lasciare le nuove leve indifferenti è del resto così alto che molti altri sviluppatori avrebbero lasciato perdere in partenza. Sfoggiando molto coraggio e altrettanto talento, il KOF Team ha invece accettato la sfida, riuscendo contemporaneamente a rispettare il retaggio del brand e adattarlo alle esigenze dell’epoca moderna. Fatal Fury: City of the Wolves supera così in scioltezza la prova del pad e si propone come una validissima alternativa ai kolossal che si contendono da anni i vertici del sistema picchiaduro.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto:
8.5
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