The Callisto Protocol: cara Striking Distance, non ci siamo. Recensione (PS5)

The Callisto Protocol PS5 Recensione 1

L’horror è uno dei generi più difficili da affrontare e gestire come sviluppo. Chi vi dice il contrario, semplicemente, non ha granché idea di cosa stia parlando. La recensione di The Callisto Protocol, da Striking Distance Studios, ci dà la possibilità di chiarire questo grande malinteso.

Una breve premessa

Cosa fa l’horror diversamente dagli altri generi? In primis, ci seduce con la paura. E chi, sano di mente, penserebbe di affascinare qualcuno/a presentandosi con un mazzo di budella umane e una scatola di dita mozzate? Il genere horror, invece, fa proprio questo: ci ammalia con il macabro e il raccapricciante, ci pone davanti a un profondo contrasto emozionale attraverso un’attenta costruzione narrativa ed estetica, che fa assurgere la “m*rda e sangue” a spettacolo talmente attrattivo da cui è impossibile distogliere lo sguardo e ce ne fa volere sempre un po’ di più.

The Callisto Protocol, la trama: scopriamo la storia di Jacob Lee

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La trama di The Callisto Protocol si dipana attraverso le fila di un canovaccio piuttosto classico: dopo una commessa di trasporto commerciale finita in tragedia, il protagonista Jacob Lee si ritrova a far parte della popolazione carceraria di Black Iron, una prigione di massima sicurezza situata su una delle lune di Giove, Callisto.

Una situazione che non fa certamente felice il nostro eroe e che si trasformerà ben presto in un vero e proprio incubo popolato da mostri umanoidi con il quale Jacob e noi dovremo necessariamente fare i conti per poterne sfuggire indenni. Durante la fuga per la libertà scopriremo le cause di questo disastro, che prendono origine da tempi molto più remoti di quanto potessimo aspettarci. Ad aiutarci ci saranno anche altri due sopravvissuti all’invasione zombie di Black Iron: l’ergastolano Elias Porter e la terrorista Dani Nakamura.

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Striking Distance ha decisamente voluto spingere sulla caratterizzazione estetica dei personaggi principali, avvalendosi dei volti degli attori Josh Duhamel (Transformers), Karen Fukuhara (The Boys) e Sam Witwer (Deacon in Days Gone), ma le performance degli interpreti non bastano a sostenere una trama piuttosto scontata nel suo dipanarsi e priva di una qualunque rielaborazione o caratteristica specifica che la faccia spiccare nel mare magnum di quelli che, impropriamente, potremmo definire Dead Space-like.

Il rapporto tra i personaggi si sostanzia in numerosi scambi di battute tese a spiegare come procedere con l’esplorazione dopo l’ennesimo crollo di piattaforme, ascensori e attraversamento di condotti d’areazione. Questi sono espedienti di cui il gioco fa abbondante uso, tanto da farli diventare un appuntamento fisso tra i meandri del satellite Callisto.

In buona sostanza, la trama pare essere più un artefatto di servizio che uno specifico strumento teso a creare quella tensione necessaria al genere a cui appartiene The Callisto Protocol. C’è anche un uso, a nostro parere, fin troppo smodato della tecnica del jumpscare, che alla lunga diventa prevedibile e perde del tutto il suo mordente.

Comparto tecnico: ecco gli alti e bassi del lavoro di Striking Distance

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Al contrario, il comparto artistico risulta essere all’altezza delle aspettative, e i giochi di luce e ombre soddisfano adeguatamente quello che dovrebbe essere lo standard nella realizzazione estetica di un horror ambientato nello spazio.

Peccato invece per la componente sonora, almeno in italiano, dove la voce di Jacob Lee risulta avere dei problemi di missaggio gravi al punto che, in alcuni frangenti, risulta quasi non udibile. Vi consigliamo dunque di giocare The Callisto Protocol in lingua originale.

Pur essendo stato presentato come un survival horror, The Callisto Protocol punta decisamente all’azione, che di per sé non è un tradimento di genere, anzi, ma la realizzazione del sistema di combattimento presta il fianco a criticità che alla lunga si fanno sentire in termini di mera godibilità.

Gameplay: schiva, colpisci, ripeti

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Il team di sviluppo ha inteso prediligere lo scontro ravvicinato contro i nemici che, a fronte di un arsenale di tutto rispetto, si risolve spesso e volentieri in un più pratico menar di bastonate elettriche. Tale scelta non è determinata tanto dall’effettivo potenziale di danno della mazza ma, in primis, dalla macchinosa scelta delle armi e dalle fin troppo lunghe animazioni di innesto delle diverse tipologie di armamento sull’unico calcio in nostro possesso.

Potremmo anche supporre che ciò possa essere stato pensato per aumentare la sensazione di disagio di fronte all’imminente scontro mortale ma, in realtà, le tempistiche risultano essere veramente troppo prolisse e scoraggiano lo switch tra le bocche da fuoco disponibili.

Gli sviluppatori hanno optato inoltre per una telecamera parecchio stretta, che vuole restituire al giocatore un senso di oppressione e tensione, ma offre il fianco a una irritante confusione a schermo in caso di nemici multipli, col risultato che spesso l’inquadratura si rivela essere più nemica del giocatore che efficace veicolo sensoriale.

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Trattandosi di un combattimento che si basa soprattutto sulla distanza ravvicinata, il team ha previsto un sistema di schivata sulla levetta sinistra (e una sorta di attacco critico seguente con l’arma da fuoco) di per sé interessante in termini di feedback ludico, ma che si sostanzia in una specie di danza piuttosto ripetitiva nei pattern, senza importanza nelle variazioni di direzione o nelle tempistiche offensive.

La mancanza di varietà si profonde anche sull’assortimento di nemici, che arriva quasi a sfociare nell’assurdo durante le boss-fight, che non solo presentano nella quasi totalità lo stesso avversario ma anche le stesse modalità di approccio al scontro, ovvero dei lunghi girotondi intorno all’antagonista di turno.

Per una qualche ragione a noi sconosciuta anche il combattimento finale si svolge con le stesse dinamiche ma, almeno, con un rivale diverso da quelli fin lì proposti.

Anche le trasformazioni corporee dei nemici con una simil modalità berserk, mostrate con un certo orgoglio dal team di sviluppo, non si sostanziano in uno stravolgimento dei pattern dei nemici, che restano in buona sostanza gli stessi ma con più resistenza agli attacchi, sebbene siano piuttosto impattanti da un punto di vista meramente visivo.

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Oltre a questo, non possiamo non nominare le ormai note animazioni di morte, che saltano all’occhio per la loro crudezza ma alla lunga diventano un orpello che non fa che appesantire un ritmo di gioco già di per sé minato da una discreta quantità di ripetitiva.

Anche l’uso del guanto GRP, che permette di attirare a sé e scagliare via oggetti e nemici, non risulta assai esaltante dato che il gioco, in realtà, non presenta un level design che possa farlo davvero brillare come feature caratterizzante. Il GRP ci è parso insomma piuttosto limitato nella sua effettiva capacità di apportare varietà durante gli scontri.

The Callisto Protocol cerca di offrire anche una possibilità di approccio stealth, ma si presta a situazioni piuttosto discutibili in termini di realizzazione. Per esempio le uccisioni furtive, pur essendo molto rumorose, non vengono considerate dagli avversari, ma se ci alziamo in piedi e facciamo un passo quasi impercettibile, si allerta tutto il gruppo di nemici.

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L’esplorazione della mappa di gioco è fortemente guidata, e spesso si risolve con un quasi nulla di fatto se non quando saremo costretti alla ricerca di un fusibile per sbloccare una porta obbligatoria che ci farà avanzare con l’avventura.

L’equilibrio di gioco soffre di picchi improvvisi di difficoltà (specie verso il finale) veramente mal calcolati, che non fanno che esacerbare e mostrare in toto i limiti di un gameplay che pare essere non del tutto in bolla con quello che doveva e voleva essere.

Le conclusioni: The Callisto Protocol, sì o no? Un timido forse

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In conclusione, The Callisto Protocol fallisce in modo piuttosto impietoso sul versante horror, mancando del tutto nel costruire quel clima di tensione necessario a creare quella sensazione di fascinazione nei confronti del raccapricciante che è propria del genere a cui fa riferimento, nonostante le premesse iniziali fossero piuttosto allettanti. Sul versante action invece la situazione è leggermente migliore, e sebbene abbia più di un problema il sistema di combattimento risulta giocoso quel tanto che basta da essere sufficiente.

L’elemento migliore di The Callisto Protocol è sicuramente la direzione artistica, che risulta essere adeguata al contesto narrativo e contribuisce ad attestare il giudizio complessivo dell’opera su una sofferta sufficienza, che è purtroppo molto meno di quello che avremmo voluto.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
6
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