Returnal: Un capolavoro che è stato capito da pochissimi

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Partiamo da due semplici domande che fanno da premessa. Primo: una bella storia (intensa, emozionante e pregna di significati) ha bisogno per forza di una sceneggiatura di mille mila pagine? Assolutamente no! E Returnal, con la sua storia criptica e centellinata, se considerata sull’ammontare totale di ore di puro gameplay che il giocatore è tenuto a macinare per terminare il gioco, ne è un esempio lampante: sintetica ma intensa e in grado di far ragionare su argomenti molto profondi.

Secondo: il videogioco (costituito dalla sua ‘giocosa‘ interattività, etichettato come un prodotto di intrattenimento quasi esclusivamente ‘per ragazzi‘ e purtroppo ancora considerato dal pubblico generalista come un semplice sciocco passatempo) può narrare efficacemente una bella storia al pari della letteratura e del cinema? Assolutamente sì!!! E anche qui Returnal ne è un esempio perfetto, perché la natura stessa del sistema di gioco roguelite (e quindi parliamo della parte esclusivamente ludica del prodotto) è parte integrante dell’esperienza, un elemento indissolubile alla storia che ci vuole narrare e trasmettere, e che quasi sicuramente in pochi sono riusciti ad analizzare e comprendere a pieno.

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I creatori di Returnal (la software house finlandese Housemarque) sono stati in grado di fondere perfettamente questi due elementi (ludica e storia) creando un connubio straordinario più unico che raro: La parte giocata e la storia narrata di Returnal sono volutamente in simbiosi, l’una dipende proporzionalmente dall’altra, e solo assimilando questo semplice concetto si può apprezzare in maniera totale l’opera di Housemarque…ma non è impresa facile, lo ammetto.

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Io stesso ho fatto fatica durante le prime 3-4 ore di gioco, mi sono sentito in qualche modo tradito da una campagna pubblicitaria che essenzialmente ha peccato di poca trasparenza nel far capire al pubblico di che prodotto si sarebbe trattato, soprattutto se consideriamo la natura stessa delle grandi esclusive story-driven di casa Sony, che dopo tanti anni sono entrate di prepotenza nell’immaginario del pubblico di appassionati Playstation. In parole povere diciamocelo: il pubblico pensava che anche Returnal sarebbe stato un titolo di questo tipo, e non di certo un gioco così hardcore ed elitario.

Il primo brutale impatto con un gioco come Returnal è quasi del tutto ludico: si ha la sensazione che il cuore della produzione sia al 100% la giocabilità (e quindi unicamente la parte ludica prettamente arcade) e che l’elemento narrativo sia stato pensato dopo e ‘appiccicato‘ in maniera forzata e superficiale. I giocatori navigati lo apprezzeranno subito per la responsività dei controlli, per il perfetto bilanciamento del sistema di gioco (seppur estremamente hardcore e quindi molto proibitivo per i giocatori più pigri), per la divertentissima e appagante giocabilità e ovviamente per un comparto grafico senza precedenti per il genere di appartenenza, in grado di farci assaporare una prima vera e propria next-gen.

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Sostanzialmente il gioco lo si potrebbe intendere come uno sparatutto in terza persona: è diviso in tre atti che si svolgono in un totale di sei macro aree/mappe chiamate biomi, ma la natura stessa del genere di appartenenza di Returnal (il roguelite) si porta dietro ovviamente tutte le sue peculiari caratteristiche frustranti ed estremamente punitive che lo distanziano parecchio dal classico TPS mediamente conosciuto ai più.

Il gioco è estremamente veloce, difficile e brutale nella sua messa in scena degli scontri con i nemici (che molto presto ci bombarderanno con piogge di proiettili come se non ci fosse un domani!), e richiede riflessi scattanti, molto tempo (più giocate e più diventate bravi) e una valanga di pazienza perché a ogni morte perderete praticamente tutti i progressi fatti (tranne ovviamente quelli permanenti della tuta, l’esperienza con le armi e i collezionabili), con tanto di completo respawn dei nemici come nei soulslike, per intenderci. Unite questo con la proceduralità dei biomi e del loot, che a ogni rinascita verranno completamente riformulati/rigenerati randomicamente, e capirete che Returnal è un gioco che concede poco e non perdona niente.

Se però siete giocatori empatici (oltre che molto bravi ‘pad alla mano‘), esigenti e sempre alla ricerca di stimoli in grado di innescare personali e appaganti processi elucubrativi, dopo una decina di ore (e precisamente dopo aver terminato il primo atto), scatterà LA scintilla e la chiave di lettura necessaria per capire tutto quello che il gioco ci vuole dire….e partirà anche la dipendenza, quell’irrefrenabile voglia di continuare a giocare per apprendere tutti i tasselli della storia (per gran parte indiretti e NON esplicativi a una prima superficiale lettura) e per sviscerare la parte videoludica nella maniera più completa possibile (potenziare tutte le caratteristiche delle armi, trovare tutti i diari di bordo, decifrare tutti i glifi, accedere a tutte le zone dei sei biomi, scoprire tutti gli equipaggiamenti attivi e passivi).

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A questo punto siamo entrati in perfetta sinergia con il gioco, tutto il tempo e l’impegno che investiamo nel gioco stesso ci ritorna indietro con la stessa intensità, un’intensità di puro godimento da endorfine. La medesima simbiosi tra ludica e storia va di pari passo con il legame che nasce tra il giocatore e la protagonista Selene Vassos: così come lei si ritrova intrappolata in una serie infinita di cicli “prova-muori-ritenta” su un pianeta ignoto e pieno di pericoli, noi giocatori (per effetto empatico) siamo schiavi del medesimo loop infinito ma meta-videoludico, e come Selene non siamo disposti a cedere il passo alla resa (e le frasi che pronuncerà Selene quasi a ogni risveglio-rinascita, sembrano anticipare i nostri stessi pensieri).

Prima quindi di cominciare ad analizzare nel dettaglio la storia di Returnal, ci tengo a ribadire per l’ennesima volta il concetto di simbiosi tra gioco e narrativa (e non a caso nel gioco stesso possiamo decidere se entrare o meno in simbiosi con dei parassiti che ci daranno bonus e malus contemporaneamente, il perfetto “do ut des“): Returnal è un gioco difficile e a tratti snervante per i motivi spiegati prima, e dobbiamo capire che la parte narrativa è VOLUTAMENTE criptica e poco comprensibile a uno sguardo superficiale, perché in linea con la parte giocata.

L’incredibile impegno e sforzo ‘fisico‘ richiesti al giocatore per avanzare con il gioco (uccidendo nemici, schivando ondate di proiettili, sopportando il ricominciare da capo a ogni morte) è richiesto anche a livello mentale e razionale per poter capire tutte le sfumature e i significati celati della storia che Housemarque ci vuole narrare. In tanti si sono lamentati o hanno fatto l’errore madornale di definire la storia banale e poco rilevante per l’esperienza completa, ma io sono più che convinto che una grossa parte di questi giocatori abbia abbandonato il gioco dopo la fine dell’atto due (ovvero dopo aver sconfitto l’ultimo boss e aver visto il primo finale con tanto di titoli di coda), ma che anche tanti di quelli che sono arrivati a vedere il vero finale (fine dell’atto tre) saranno rimasti comunque delusi e confusi dalla conclusione fortemente criptica e poco leggibile.

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Al contrario di quanto pensano in tanti, Returnal è molto poco classificabile come gioco di genere fantascientifico nel senso lato del termine (o quanto meno, è fantascienza ma non direttamente!). È più una storia intima e introspettiva dove vengono analizzati concetti molto profondi quali il disagio mentale, il rifiuto alla rassegnazione, il rapporto madre-figlio e la paura dell’ignoto (non inteso come dello spazio profondo), ma lo vedremo meglio in seguito.

Diciamo subito che Returnal offre una storia che HA BISOGNO del vostro intervento per essere compresa nella sua interezza, dovete sforzarvi di ragionare su quello che vedete e sentite durante tutta l’esperienza…e dovete ragionarci su (usatelo il cervello ogni tanto!). Non dovete fare l’errore di mettere in secondo piano la parte narrativa solo perché essenzialmente ci troviamo tra le mani un roguelite, e quindi un gioco dalle caratteristiche prettamente arcade.

– AVVISO SPOILER –

Questo vi può confondere o sviare durante le prime ore, ma non fatevi ingannare perché vi perdereste il grosso dell’esperienza emotiva che Returnal è in grado di dare al giocatore esigente. Detto ciò sganciamo subito la bomba (e occhio che da adesso in poi farò inevitabilmente una marea di spoiler!): sappiate che in Returnal TUTTO quello che vediamo e sentiamo NON è mai quello che sembra!

La bomba è questa: TUTTO il gioco è essenzialmente la rappresentazione onirica e delirante del mondo immaginario di una bambina! Ma andiamo per gradi.

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La Bambina

Dopo la prima metà di gioco verrà introdotto il personaggio della bambina e in una manciata di visite alla casa (presumo che abbiate finito il gioco e che sappiate quindi di cosa stiamo parlando) saremo nei suoi panni in prima persona…ed è proprio in questi brevi momenti che potremo apprendere la maggior parte degli elementi NECESSARI per capire la storia del gioco. Ebbene la bambina è (o era) la figlia di Selene Vassos e siamo essenzialmente NOI; la Selene che impersoniamo durante tutto il gioco è il nostro avatar videoludico (quello è chiaro) ma NON è propriamente una rappresentazione reale della vera Selene Vassos (che nella realtà è o era sua madre). Quello che facciamo, diciamo, sentiamo e viviamo nei panni di quell’avatar è una rappresentazione puramente estetica ma distorta (nel bene e nel male) della mente della bambina.

L’avatar del giocatore è quindi la perfetta fusione delle esperienze della bambina (l’esperienza che vivremo durante il gioco è vissuta proprio da lei) e la raffigurazione estetica in forma adulta della madre Selene (essenzialmente è il concetto della figlia che si immagina da adulta con le sembianze della madre). A sostegno di questo viene in aiuto anche l’ultima visita alla casa dopo il recupero del medaglione del Sole: Selene dice queste parole una volta entrata in casa “mamma, sono a casa”.

Credo che sia indubbio che quello che vediamo nelle sequenze in prima persona ma, soprattutto, nella cutscene del primo finale, la bambina (la figlia di Selene) sia (o sia stata) sempre affetta da grossi disturbi mentali (probabilmente autismo o schizofrenia e gli indizi sono evidenti: la casa è di disseminata di medicinali volutamente indefiniti e nella scena dell’incidente d’auto risulta lampante il disagio della madre quando la bambina pronuncia la frase “mamma, vedi la pallida ombra?

Guarda caso, è anche il mantra della Selene/Avatar durante l’esplorazione dei biomi del pianeta Atropo e che il rapporto con la madre sia stato un rapporto distaccato e problematico: da parte della bambina a causa della propria condizione mentale e da parte della madre per via di una probabile incapacità di accettare le condizioni della figlia malata. Il filmato del primo finale (quello dell’incidente d’auto) non è reale ma è una rappresentazione immaginaria dell’effettiva “frattura” emotiva tra madre e figlia.

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Probabilmente Selene-Madre è (o era) una madre single con un carattere determinato e arrivista: il suo lavoro da astronauta (o comunque nel settore aerospaziale) e l’assenza di un marito e di un padre per la figlia, l’ha portata a un rifiuto psicologico delle condizioni della ragazzina perché vista anche come possibile ostacolo alla sua carriera. Il che, molto probabilmente, ha comportato la decisione di affidare la piccola a un istituto specializzato, non essendo lei (e forse anche non volendo) in grado di occuparsene. A supporto di questa tesi, abbiamo la telefonata della madre in segreteria e la lettera di rifiuto dell’Ente spaziale, durante le sequenze in prima persona nella casa.

Tutto quello che vediamo nel gioco (compreso l’incidente in auto) è quindi la proiezione dei pensieri deliranti e contrastanti della bambina: il suo senso di abbandono da parte della madre, le paure di non essere del tutto accettata e amata dalla madre, il terrore di un futuro ignoto. Il tutto, mescolato alla fervida immaginazione e senso della scoperta creativa, caratteristiche dei bambini di quell’età.

La sua stanza è piena di libri d’ avventura fantascientifica, gioca con una consunta navicella spaziale a cui non fa che rivolgere “non fai che romperti!” (la navicella “Helios” di Selene/Avatar si è danneggiata ed è precipitata!) e, lei stessa , s’ immedesima nei panni di un’esploratrice spaziale in missione.

A pensarci bene potrebbe essere ipotizzabile anche un’altra teoria: l’incidente automobilistico è realmente accaduto ma nel passato, di conseguenza, la bambina è effettivamente morta. Di nuovo, quindi, il gioco continua a essere una rappresentazione onirica e delirante del mondo immaginario di una bambina, ma come esperienza pre-morte. A sostegno di ciò, c’è una scena dove, effettivamente, ascoltiamo un servizio news dove si parla proprio di un incidente in cui un auto è caduta nel fiume e nella quale è morta una persona ed è sopravvissuta l’altra. L’audio del filmato è volutamente disturbato e vengono omesse alcune fondamentali parole ma il tutto torna, se volessimo sposare questa tesi.

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Selene Vassos

Come abbiamo già detto Selene Vassos (quella vera, che vediamo solo nella scena dell’incidente in auto) è la madre della bambina ma la donna che controlliamo durante il gioco è una completa reinterpretazione estetica e comportamentale della figura della madre attraverso gli occhi e la psicologia della figlia. Non a caso tutto il gioco ci mostra un’astronauta donna dotata di equipaggiamento fantascientifico che naufraga su un pianeta alieno popolato da bizzarre creature ostili, non ricorda nulla del suo passato e a ogni morte risorge per ripetere tutto infinite volte. Praticamente tutti gli elementi delle storie classiche di fantascienza avventurosa per eccellenza! Quanti bambini in tenera età hanno fantasticato in questo modo sui propri genitori, vedendoli in questo modo e provando a immedesimarsi!

E’ tutto il frutto dell’immaginazione della bambina; la madre astronauta, ai suoi occhi è così, un avventuriera alla scoperta di un nuovo mondo e capace di sconfiggere creature ostili a suon di armi fantascientifiche hi-tech. Basta guardarvi intorno durante le sequenza nei panni della bambina per capirlo (guardate i suo giocattoli e i suoi libri) e percepirete anche il suo forte disagio (mescolato al senso di ammirazione) nei confronti della madre.

E dirò di più: gli infiniti cicli “prova-muori-ritenta” rappresentano, secondo me, gli inesauribili e disperati tentativi della bambina di farsi accettare dalla madre: ella è sopraffatta dal disagio e dalla confusione (non dimentichiamo che NON è normale la sua condizione mentale) ma nonostante tutto non si arrende e continua nel suo loop infinito di auto determinazione (e qui la scena meta narrativa della bambina che sta giocando proprio al videogioco Returnal, la dice tutta!) nel rifiutare l’inevitabilità della situazione (e qui ragazzi miei andate a vedere il significato della parola con qui viene chiamato il pianeta sulla quale è precipitata Selene: Atropo, nella mitologia greca era una delle tre Moire…quella che non si può evitare, a rappresentazione del destino ultimo dell’inevitabile morte d’ogni individuo).

E anche qui, ascoltate bene quello che dice Selene/Avatar durante l’ultima visita alla casa: ”ogni vita deve passare per una morte, ogni inizio deve passare per una fine”. Altra scena determinate è la sequenza che vedrete dopo aver terminato l’atto uno (essenzialmente dopo aver sconfitto il boss del bioma tre): vediamo Selene/Avatar che dopo aver inviato la richiesta di soccorso riesce finalmente ad abbandonare il pianeta Atropo, tornando sulla Terra. Li, invecchia e passa il resto della sua vita in completa serenità con se stessa, per poi rendersi conto che è stata tutta un illusione , in realtà, è di nuovo intrappolata nel ciclo perpetuo “prova-muori-ritenta” su Atropo. Quella scena, rappresenta la speranza infranta della bambina di poter tornare a casa e quindi a una vita normale, di essere guarita dal suo malessere e di poter finalmente essere accettata dalla madre per poter vivere la vita che ha sempre desiderato ma, di nuovo, viene sopraffatta dalla dura e amara realtà (e inevitabilità) della vita.

Possiamo ipotizzare che dopo un primo periodo di internamento nell’istituto, la bambina abbia dato qualche segno di miglioramento atto a far pensare che sarebbe potuta tornare a una vita normale, ma così non è stato purtroppo.

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L’Astronauta

La figura dell’astronauta rappresenta, essenzialmente, il simbolo del disagio della bambina nei confronti della madre. Nel gioco, questo personaggio è molto costante ed enigmatico, tanto da sembrare quasi un deus ex machina onnipotente. E’ il perfetto simbolismo dei sentimenti contrastanti che la bambina prova per la madre: è una figura potente da ammirare ma è anche inquietante e minacciosa in quanto non la si conosce fino in fondo (ricordiamoci sempre della malattia della bambina e del loro rapporto disagevole). Visivamente viene rappresentato come “il più classico degli astronauti” semplicemente per associazione di elementi alla mente di un bambino (la bambina sa a modo suo che la madre è un astronauta o similari) e ha connesso a esso la più iconica delle immagini (probabilmente vista in televisione, anzi in una scena nella casa vediamo proprio un servizio che ricorda gli sbarchi lunari!).

I Mostri

Tutti i mostri/nemici presenti (compresi i boss) sono una rappresentazione di figure legate al mare e alle profondità degli abissi. Fateci caso e esaminate bene l’aspetto delle mostruosità nel gioco: sono quasi tutti dotati di forme tentacolari (simil polipo) o comunque ispirati a figure mitologiche marine della letteratura. (e anche qui guardatevi bene intorno durante le sequenze in prima persona della bambina, il suo stesso peluche preferito è proprio un polipo che lei ha chiamato “Octo”!). E quindi perché nel gioco queste figure hanno un ruolo ostile e minaccioso ai danni di Selene/Avatar? Semplicemente perché la bambina ha PAURA del mare! (e anche qui noterete che uno dei libri presenti all’interno della casa è proprio un libro sulla talassofobia, ovvero la paura del mare o precisamente la paura di quanto si cela nelle profondità marine).

Il fatto che la bambina stessa abbia scelto un peluche dalla forma di polipo come suo giocattolo preferito è molto semplicemente per cercare di esorcizzare la propria paura (uno dei più basilari meccanismi di difesa dell’essere umano) Anche qui torna prepotentemente l’incredibile determinazione della bambina che non accetta di arrendersi ai disagi e alle ostilità.

La Navicella Helios

Non mi è molto chiaro se la navicella spaziale comandata da Selene/Avatar possa essere di una IA senziente (nella rappresentazione del mondo immaginario della bambina ovviamente) ma fatto sta che rappresenta la salvezza, la luce che sconfigge l’oscurità, il Sole (Helios, dal dio greco del sole appunto) nonché unico mezzo apparente per abbandonare il pianeta Atropo. Non a caso appena dopo aver sconfitto l’ultimo boss dovremo riesplorare tutti e sei i biomi per trovare sei pezzi di una pietra raffigurante il Sole.

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Per tirare le somme, tengo a precisare che tutto questo popò di roba è il frutto di una mia personale analisi maturata dopo circa 50 ore di gioco, non sono andato a cercare VOLUTAMENTE ulteriori analisi di altri giocatori, appunto per non essere influenzato prima della mia stesura. In ultima istanza quindi torniamo al motivo per la quale ho deciso di chiamare questo articolo “Returnal: Un capolavoro che hanno capito in pochissimi”: molto semplicemente perché è la realtà dei fatti!

Quanti di quelli che hanno acquistato il gioco non lo finiranno mai perché la parte prettamente ludica è dannatamente difficile e hardcore? Tantissimi. Quanti di quelli che riusciranno a finire il gioco lo abbandoneranno dopo il primo finale senza averci capito nulla o quasi? Tantissimi. Quanti di quelli che avranno la determinazione di finirlo al 100% solo per puro istinto di completamento compulsivo ma senza sentire il bisogno di analizzare una trama così ben ideata e strutturata? Tantissimi.

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Purtroppo il pubblico generalista (ma anche grossa fetta degli appassionati ormai) sembra consumare i prodotti di intrattenimento in maniera sempre più fugace e superficiale, non riuscendo più a capire la qualità del prodotto che si trova tra le mani: tutto viene masticato e sputato all’insegna del disinteresse più totale o quasi.

Perché? Semplicemente perché c’è troppa “roba” in giro e il pubblico pigro viene letteralmente sopraffatto dall’enorme quantità e varietà di scelta che offre un mondo enorme come quello dell’intrattenimento, senza contare ovviamente un generale e allarmante abbandono della riflessione e/o analisi di quanto “consumato”. Inutile dire che questa situazione è molto triste e si sta facendo assai preoccupante a mio avviso.

Di fronte a prodotti del livello qualitativo di Returnal provo un senso di ammirazione e stima verso le persone che l’hanno creato dal nulla, e mi sento quasi in dovere (come minimo) di “diffondere il verbo” il più possibile, ovviamente nel limite delle mie possibilità di genuino appassionato di emozioni. Spero vivamente che le riflessioni che ho messo “nero su bianco” su questo articolo abbiano fatto accendere qualcosa in almeno un altro stronzo come il sottoscritto, perché sarebbe già un ottimo risultato da cui partire. Come al solito, AVE ATQUE VALE…saluti e arrivederci!

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