Esattamente 25 anni fa, i fan giapponesi – beati loro – mettevano le mani su un videogioco che avrebbe segnato una generazione e avrebbe finito col donare ai suoi creatori una fama leggendaria. Parliamo di Metal Gear Solid, ovviamente. La serie ha da poco sfondato quota 60 milioni di copie.
La release è datata 1998, ma potremmo far risalire l’inizio della nostra storia a molti anni prima. A metà anni ’80 almeno, quando un ragazzo appassionato di cinema ottiene un posto in azienda: si chiama Hideo Kojima, è sulla 20ina, ama i film americani e spera un giorno di poterne realizzare uno. Una specie di Dawson Leery in salsa di soia se vogliamo. Dopo aver fatto da assistente di produzione per Penguin Adventures, Kojima chiede e ottiene di realizzare il suo primo videogioco. Nel luglio del 1987 esce su MSX-2 (home-computer con poco successo fuori dai confini giapponesi) un gioco chiamato Metal Gear.
Prima del “Solid”. Le origini della serie
I cliché presi in prestito da Hollywood ci sono tutti: eroe solitario, mandato in missione per salvare il mondo da una minaccia terroristica, scoprirà che alcuni dei suoi alleati gli han mentito fin dall’inizio. Nulla di davvero troppo originale o elaborato. Ma c’è una intuizione – figlia anche delle limitazioni tecniche – e cioè quella di non creare un gioco di azione, ma di spionaggio. Meno Rambo e più James Bond, se vogliamo. Per avere successo, Solid Snake (il protagonista) dovrà farsi largo non a pallottole, ma stando lontano dagli occhi dei nemici. La formula piace ai gamer. Piace anche a Konami che cerca di non lasciare confinato il gioco al solo mercato Giapponese offrendo anche una conversione per NES (con alcune limitazioni e differenze).
Non sono personalmente in possesso dei dati di vendita ma la ricezione generalmente positiva di pubblico e stampa sappiamo convinsero Konami a lavorare a un sequel. A dire il vero a due sequel: l’infausto Snake’s Revenge, esclusivo per NES, e l’ufficiale Metal Gear 2: Solid Snake ancora per MSX-2 e più tardi per NES. Era il 1990 e nel frattempo Kojima aveva pure trovato modo di portare a termine Snatcher, che molto deve a Balde Runner e al romanzo di Philip K. Dick (Does Android Dreams of Electric Sheeps?). Si archivia anche Policenauts, opera che tanto contiene del Kojima come lo conosciamo oggi ma che, purtroppo, non ha raccolto una fetta nutrita di estimatori. È il 1994 quando il gioco arriva nei negozi per la prima volta.
Tempismo perfetto, cara PlayStation
Gli appassionati di gaming ricordano benissimo quel periodo. Le console a 16 bit avevano esaurito la loro corsa. SEGA e Nintendo provano, entrambe, a tenere il passo coi tempi e dotare le proprie macchine del “lettore CD”, vero deal breaker per gamer sempre più esigenti. SEGA fa da sola con il MEGA CD, un Add-on per Mega Drive. A Kyoto la storia è ben diversa (oltre che ben nota) Sony aveva già fornito a Nintendo alcuni chipset audio realizzati da Ken Kutaragi. Questo dà a Kutaragi la forza necessaria per far leva sui suoi superiori e convincerli a trovare nuovi accordi con Hiroshi Yamauchi per la produzione dell’add-on CD per il Super Famicom. Gli accordi poi andarono a ramengo: Nintendo si accordò con Philips e Sony proseguì le sue ricerche che portarono alla commercializzazione (nel 1994) di Sony PlayStation, console entrata nella leggenda e soprattutto nelle case dei gamer.
Era ovvio dunque che per il gioco successivo, Kojima prendesse in considerazione l’idea di pubblicare su Panasonic 3DO. Sì, avete letto bene. Uscita nel 1993 3DO Interactive Multiplayer è stata una delle prime console ad adottare nativamente il formato CD per i suoi giochi e, soprattutto, in grado di mostrare a schermo ambienti tridimensionali complessi. Sarebbe stata perfetta per realizzare ciò che Kojima aveva in mente: portare Metal Gear nella terza dimensione, renderlo “Solido”.
Non so dirvi esattamente quale sia il motivo. Potrebbe essere provvidenza, un attento occhio a come stavano andando le console sul mercato in quel periodo, cultura tipicamente nazionalistica così diffusa in Giappone, scaramanzia da parte di Kojima che aveva cominciato la serie su macchine co-prodotte da Sony o un misto di questo e chissà che altro. Alla fine, in un momento imprecisato tra il 1994 e il 1997 a Konami la decisione è presa: Metal Gear Solid arriverà su PlayStation, punto e basta.
La (ri)nascita del mito
Metal Gear Solid di tutto ha bisogno tranne che della mia presentazione. Chi era abbastanza grande da osservare il mondo gaming con una certa attenzione ricorderà il fermento delle riviste di settore che raccontavano di questo fantomatico gioco che sembrava un film. Gli addetti ai lavori, infatti, ancora prima di provarlo ne avevano avuto un assaggio durante E3 del 1997 (quel trailer molti se lo ritroveranno nel CD Demo 1, offerto con PS1). Si trattava di un trailer che mostrava una situazione non troppo distante da quella poi giunta su console circa un anno più tardi. Di certo le immagini “beta” erano molto migliori di quelle “alpha” mostrate un paio di anni prima.
E poi arrivarono i pareri di chi ci aveva messo sopra le mani. IGN USA raccontava del gioco più vicino alla perfezione di qualsiasi altro esponente del genere action pubblicato su PlayStation fino a quel momento. La nostrana Play Generation, invece, si spinse oltre arrivando a definire il gioco come uno dei migliori della storia.
Per fortuna aveva otto anni all’epoca dei fatti. Il gioco mi piombò tra le mani per caso. Fossi stato già adolescente e con le riviste sotto braccio, avrei finito col rodermi il fegato a leggere di quel gioco senza poterci mettere sopra le mani per mesi. In Italia avremmo dovuto attendere il febbraio del 1999. Io lo provai un paio di mesi dopo, in aprile.
“Il mio corpo è fatto al 70% di cinema”. Metal Gear Solid al 90%
Metal Gear Solid rappresenta il primo vero passo compiuto da Hideo Kojima nel suo viaggio teso a realizzare la commistione tra cinematografia e vide games. Non esiste nulla di paragonabile in tutta la sua produzione precedente. Buona parte del merito è da imputare, ovviamente, alle innovazioni tecnologiche offerte dal versatile supporto CD e da una PlayStation che pur dando filo da torcere ai colleghi dell’ufficio accanto di Team Silent (che lavoravano a Silent Hill, 1999) aveva fornito a Kojima quel terreno fertile dove trasformare Shadow Moses da idea a luogo vero e proprio.
Le immagini di Kojima intento a provare le inquadrature ricreando gli ambienti con i mattoncini LEGO le abbiamo in mente tutti. Chissà quante volte ci sono passate davanti nei documentari dedicati alla storia del gaming. Quei frame, per primi, ci hanno dato l’idea di un Kojima “regista” più che game developer. Game Director, avrebbe avuto a dire qualcuno intendendolo in un senso un po’ diverso rispetto al senso che veniva dato al termine di solito. Lui, Kojima, al progetto ci si dedica anima e corpo. I figli – racconta – erano curiosi di capire che lavoro facesse il padre se poteva permettersi di giocare con le costruzioni in ufficio. E intanto lui finiva persino ricoverato.
Non solo regista ma anche sceneggiatore, sebbene (quasi) mai da solo per questa serie. A partire da Metal Gear Solid, Konami gli affianca Tomokazu Fukushima che resterà con lui fino almeno a Guns of the Patriots e Peace Walker. Insieme a Fukushima, Kojima getta le basi per l’eredità successiva di Metal Gear Solid. Ripresi alcuni dei temi essenziali già visti nei due capitoli precedenti, i due li aggiornano aggiungendo suggestioni appena accennate anche in Snatcher e in Policenauts. Da semplice spy-story, la serie si trasforma in un fanta-politico e para sci-fi vero e proprio con tanti momenti profondi ma anche certe cafonate bellissime.
Snake, Liquid, Gray Fox, il Colonnello Roy Campbell, Meryl Silverburgh (omonima di un personaggio di Policenauts), Hal Emmerich, Sniper Wolf, Revolver Ocelot, Psycho Mantis, Vulcan Raven, Donald Anderson, Kenneth Baker. Leggete questi nomi e ditemi se non ricordate a memoria le interazioni che avete avuto con ognuno di questi personaggi.
Sempre da Metal Gear Solid, Kojima stringe un sodalizio artistico con un altro giovane artista in forza a Konami. Parliamo di Yoji Shinkawa, forse il più stretto collaboratore di Kojima negli ultimi 25 anni. Shinkawa è autore di gran parte degli artwork e character design dei personaggi che abbiamo finito con amare. Da Metal Gear Solid a Death Stranding passando per Zone of the Enders, la firma di Shinkawa è subito riconoscibile per il suo stile ad acquerello.
Le sfide di domani. Kojima e Konami, due strade divise
Un detto popolare afferma che “il tempo è galantuomo”. Con questa massima si intende affermare che il trascorrere degli anni contribuisce a ristabilire eventuali torti subiti. Non sappiamo chi abbia commesso il primo torto tra i due, ma sappiamo che nel 2015 (ufficialmente a dicembre, ma la notizia era nota da aprile), Konami e Kojima annunciano la separazione professionale lasciando – si credeva allora – i fan orfani di altri Metal Gear Solid e The Phantom Pain, l’ultimo arrivato, monco di diverse parti.
Sono trascorsi 8 anni da allora. In quasi un decennio Kojima è riuscito a pubblicare Death Stranding rifondando da zero Kojima Productions e ha già annunciato il seguito. Konami, invece, ci ha messo un po’ per riprendersi e ancora oggi qualcuno non l’ha ancora perdonata. Nel 2017 un timido tentativo di proseguire la legacy lasciata dalla serie è stato fatto con Metal Gear Survive. L’esperimento è stato recepito negativamente. “Si torna alla progettazione” e si lavora in silenzio.
In questi anni si sono moltiplicati coloro che, scettici, avevano perso qualsiasi speranza di vedere remake o nuovi capitoli. C’è chi ha tirato su le maniche e ha provato a portare Metal Gear Solid in una veste nuova adoperando Unreal Engine 5 o il VR. Certo, si tratta sempre di progetti fan-made che prima o poi verranno silurati dall’azienda che detiene i diritti sul brand.
Qualcuno ha tentato la strada della parodia Furry. Ma tutto era troppo lontano da quello che aveva in mente Kojima che, fino al 2014, dichiarava di voler rimettere mano ai capitoli per MSX-2 così da dare modo anche ai più giovani di avvicinarsi alla serie e magari risolvere quei problemi di continuity che la serie ha cominciato a presentare dopo un po’. No, quello non si potrà fare. O almeno, non sarà lui a farlo.
In quel senso, Konami sembra aver scelto la strada del minimo sforzo e massima resa attraverso la pubblicazione della Master Collection, l’ennesimo cofanetto celebrativo della serie che, a distanza di ancora oltre un mese dall’uscita è già oggetto di critiche più o meno giustificate.
Ma l’idea di un remake non è stata abbandonata, anzi. Konami ha rivelato quello che si diceva essere il segreto peggio tenuto dell’industria; Delta, un rifacimento di Metal Gear Solid 3 affidato a Virtuos Studio (letteralmente fatto per il meme, palese dai). Sebbene publisher e developer abbiano promesso assoluta fedeltà al materiale originale, i fan di Metal Gear Solid sono creature strane. Da una parte quelli che “senza Kojima non è la stessa cosa” e dall’altra chi “eh, ma un remake del primo su PS5 ci starebbe”. Accontentare entrambe le faziomni è pressoché impossibile a meno di attenersi pedissequamente alla sceneggiatura originale.
La scelta di Snake Eater come remake può avere un doppio significato: si è deciso di utilizzare il capitolo più cinematografico di tutti (è sostanzialmente un bond movie nella giungla) oppure in Konami hanno l’idea di procedere al reboot e realizzare quella contimnuity definitiva che sperava di fare Kojima. Oppure, semplicemente, entrambe.
In conclusione: Metal Gear Solid e il suo impatto
Sapevo che se avessero affidato a me il compito di scrivere questo pezzo sarei andato fuori tema. Non so se sia stata una scelta impudente o scientificamente e sadicamente calcolata. So che rispetto a Metal Gear Solid posso raccontarvi in breve la mia esperienza così scopriamo quanto la mia storia è simile alla vostra.
Arrivato in casa nell’aprile del 1999 (per vie traverse, in prima battuta), doveva essere un gioco destinato a mio padre. Io e mio fratello, ai tempi, avevamo meno di 8 e 7 anni. Eppure, esaurito il nostro tempo a disposizione davanti alla console, speso giocando a Uefa Champions League, quando venne il turno di mio padre di provare il nuovo arrivato ci fu uno shift nel clima. Complice la sequenza introduttiva, ci vollero diversi minuti perché ci ricordassimo che PS1 non poteva riprodurre film in DVD e che quindi il negoziante non poteva essersi sbagliato dandoci un qualche oscuro film non ancora uscito.
Quella prima sessione riunì davanti allo schermo tutta la famiglia. Me e mio fratello, mio padre e persino mia madre che in quel periodo lottava perché noi piccoli non spendessimo troppo tempo con la console per non farci andare male a scuola (la vera soddisfazione era andare male ugualmente). Tutti, insomma, ci riunimmo davanti alla TV come se stessimo guardando davvero un film tutti insieme. In realtà assistevamo ai – miseri – tentativi di mio padre di superare i primi soldati next-generation che sorvegliavano il porto sotterraneo. Mezz’ora dopo eravamo su, al freddo gelido dell’Alaska a chiederci cosa ci facesse lì un Hind-D, che era un elicottero russo.
A coinvolgerci anche il doppiaggio italiano che, pur imparagonabile ai lavori moderni, ha comunque impresso nella nostra memoria la voce di artisti che ancora oggi ricordiamo con affetto: Alessandro Ricci, Andrea Piovan, Giancarlo Ciccone, Massimo Marinoni, Jessica Giuffrè, Luciana Izzi, Ciro Carraro, Ilaria D’Elia, Luigi Chiappini e Laura Farina. E poi che dire della colonna sonora? Pazienza se il main theme ricordava il brano Winter Roads di Georgy Sviridov. Io Kazuki Muraoka, Hiroyuki Togo, Takanari Ishiyama, Lee Jeon Myung e Maki Kirioka li ho perdonati. Che poi, nemmeno Harry Gregson-Williams pare se ne fosse accorto quando lo ha ripreso per Sons of Liberty. E poi, le fasi di allerta, precedute da quel ! che persino mia madre è in grado di riconoscere 25 anni dopo… ci avrò passato un quantitativo di tempo misurabile in ore.
I suoni, insomma, sono diventati iconici e non nascondo siano state proprio le musiche a catturarmi prima del gameplay, dei personaggi, della regia. Prima di avere abbastanza strumenti cognitivi per capire come, attraverso il seguire le gesta di un soldato, Kojima mi invitasse a non seguire la via della violenza e a ripudiare la guerra.
Anni dopo, devo dire, se il primo impatto coi videogiochi era quello di un bambino, con Metal Gear Solid io sono diventato più adulto. Per carità, avevo pur sempre 8 anni eh, ma se ho cominciato ad appassionarmi davvero al medium lo devo a quel fortuito incontro di quasi 25 anni fa. Ehi, ci ho pure dedicato la tesi di laurea a quel gioco… Più di così?